TROMBOFILIA E GRAVIDANZA: CASE REPORT

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  1. alfonso1953
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    TROMBOFILIA E GRAVIDANZA CASE REPORT Riassunto Gli autori presentano un caso clinico di una paziente con deficienza di MTHFR e polimorfismo genetico, dovuto alla sostituzione di una citosina con una timina al nucleotide 677, che causa una sostituzione di una alanina in valina nella proteina finale ed una riduzione dell’attività enzimatica della MTHFR. La trombofilia associata alla deficienza di MTHFR si manifesta con omocisteinemia, omocistinuria e carenza di acido folico con conseguenze sia tromboemboliche che di sviluppo del sistema nervoso fetale. La terapia indicata è basata sull’uso di acido folico in dosi giornaliere di 0,4mg. Studi recenti effettuati su gestanti e non, dimostrano l’efficacia di riduzione del rischio di eventi tromboembolici, con l’uso di basse dosi di eparina. L’eparina aumenta l’azione dell’ATIII che inibisce il fattore Xa prevenendo la formazione del trombo. L’eparina rimane lo standard per il trattamento degli eventi tromboembolici. Parole chiave: trombofilia, MTHFR, eparina, gravidanza Introduzione Sono state descritte numerose anomalie della coagulazione, acquisite ed ereditarie, che inducono una condizione di ipercoagulazione ed uno stato pretrombotico, e quindi predispongono i pazienti a fenomeni trombotici. Particolare attenzione meritano i disturbi di tipo ereditario dal momento che interessano una popolazione giovane, causano ricorrenti episodi tromboembolici, e possono interessare più membri di una stessa famiglia. La comprensione della base biochimica del tromboembolismo è oltremodo importante poiché i trattamenti antitrombotici ed anticoagulanti sono basati sulla premessa che, operando delle modifiche su reazioni chiave della coagulazione, sarà possibile ridurre l’incidenza dei fattori tromboembolici.
    La coagulazione è accuratamente regolata da una serie di inibitori che limitano la formazione di trombina e fibrina, e dal sistema fibrinolitico che rimuove efficacemente i trombi di fibrina.
    I difetti ereditari degli inibitori naturali della coagulazione, le alterazioni del sistema fibrinolitico predispongono il paziente alla trombosi. Disturbi pretrombotici ereditari • Deficit di antitrombina III • Deficit proteina C • Deficit proteina S • Disfibrinogenemia • Difettoso rilascio di attivatore del plasminogeno • Diminuito contenuto venoso di attivatore del plasminogeno • Eccessivo rilascio di inibitore dell’attivatore del plasminogeno • Omocistinuria. Nei pazienti con sospetta ipercoagu-labilità o disordini pretrombotici sono disponibili metodi per dosare piccoli peptidi o inibitori enzimatici che vengono liberati durante la coagulazione come il dosaggio radioimmunologico dei fibrinopeptidi A e B, del complesso trombina-antitrombina, e dei frammenti di lisi della protrombina. Tutte queste sostanze risultano aumentate allorché esista uno stato pretrombotico o una tromboembolia. Oggi possiamo avvalerci dei metodi diagnostici genetici.
    Caso clinico Nel maggio 2002 è giunta alla nostra osservazione una paziente di 33 anni, alla 36° sett.+4 gg di gestazione, per una problematica di colica renale destra. Anamnesi familiare: vari casi di infarto del miocardio ed ictus cerebrale. Anamnesi personale remota: nessuna patologia riferita, comuni esantemi infantili, nessun intervento chirurgico. Menarca 13 anni. Mestrui regolari ogni 28 giorni. Gravidanze precedenti: due a termine con parto eutocico; figli viventi ed in apparente buona salute. La paziente era stata seguita fino ad allora da altra struttura. Da una ecografia effettuata alla 20^ settimana di gravidanza presso “Centro ad altissimo livello ecografico” di Roma, le era stata diagnosticata una riduzione della crescita fetale ed oligoamnios. In occasione del riscontro di IUGR venne sospettata la presenza di trombofilia. Fu eseguita su sangue periferico di entrambi i coniugi, con amplificazione specifica del DNA mediante PCR relativamente al gene del fattore di Leiden (2q13-q14), la ricerca della mutazione G>A in posizione 1691 che dette per entrambi i partners esito negativo. Poi con la stessa metodica fu amplificata la regione 3’-UTR ed ibridazione inversa del prodotto amplificato relativamente al gene della protrombina (FATTORE II) per la ricerca della mutazione G20210 A. Lo studio dei nucleotidi in entrambi i coniugi dette esito negativo per la mutazione 20210 G>A. Invece la ricerca delle mutazioni C677T e A1298C relativi al gene MTHFR, localizzato al cromosoma 1q36.6 dette il seguente risultato: marito portatore della mutazione A1298C allo stato di omozigosi e moglie portatore doppio delle mutazioni A1298C e C677T.
    A questo punto alla paziente fu prescritto acido folico ad alte dosi, eparina calcica a basso peso molecolare e dieta. Le analisi mensilmente eseguite comprendevano: omocisteinemia, fibrinogeno, antitrombina III, Prot S free, Prot S totale, Proteina C, A:P:C:R: che sono risultate sempre normali.
    Al momento del ricovero per colica renale destra, a 36 settimane +4 giorni di gravidanza, l’urinocoltura risultò positiva con 1.000.000 di colonie di Escherichia Coli. Il tampone vaginale, eseguito per la ricerca di batteri, miceti, clamydia, trichomonas, ed ureoplasma risultò negativo.
    La terapia antibiotica con piperacillina negativizzò le urine. Iniziata la terapia e la dieta, alle ecografie successive, non ci fu più ritardo di crescita e la velocimetria doppler non evidenziò mai centralizzazione del circolo. La paziente ha partorito nel nostro Ospedale alla 40^ settimana con parto spontaneo. Il neonato di sesso maschile, vivo e vitale, pesava alla nascita gr 3.360 con Apgar di 8 al primo minuto e 9 al quinto minuto. Discussione e conclusione La trombofilia (predisposizione genetica alla trombosi) è un carattere complesso ed i geni che la determinano sono considerati dei geni di suscettibilità che devono interagire con fattori ambientali esterni per il manifestarsi della malattia (gravidanza, contraccezione orale, interventi chirurgici, trattamenti vitaminici etc.).
    I geni, oggi noti, di suscettibilità alla trombosi sono delle varianti geniche (mutazioni puntiformi ad un singolo nucleotide) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerati varianti polimorfiche. I geni in considerazione sono quelli relativi al fattore V di Leiden, al fattore II della coagulazione (protrombina) ed il gene MTHFR (metilentetraidrofolatoreduttasi).
    Lo studio delle varianti genetiche è indicato in:
    • Soggetti con precedenti episodi di tromboembolismo venoso o trombosi arteriosa
    • Donne che intendono assumere contraccettivi orali
    • Donne con precedenti episodi di trombosi in gravidanza
    • Donne con poliabortività
    • Donne con precedente figlio con DTN
    • Gestanti con IUGR, tromboflebite o trombosi placentare
    • Soggetti diabetici
    Fattore V di Leiden
    Il fattore V di Leiden attivato è un cofattore essenziale per l’attivazione del la protrombina (fattore II) a trombina.
    Il suo effetto pro-coagulante è normalmente inibito dalla Proteina C attivata che taglia il fattore V attivato in tre parti. Un sito di taglio è localizzato nell’amminoacido arginino alla posizione 506.
    Una mutazione del gene che codifica per il fattore V, a livello della tripletta nucleotidica che codifica per l’arginina in 506 (nucleotide 1691), con sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina), comporta la sostituzione dell’arginina con un altro aminoacido, la glutammica, che impedisce il taglio da parte della Proteina C attivata. Ne consegue una resistenza alla proteina C attivata (APC) nei test di laboratorio ed una maggiore attività pro-coagulante del fattore V attivato che predispone alla trombosi.
    Tale variante G1691A è definita variante di Leiden (località in cui fu scoperta), ed ha una frequenza genica dell’1,4-4,2% in Europa con una frequenza di portatori eterozigoti in Italia pari al 2-3%, mentre l’omozigosità per tale mutazione ha un’incidenza di 1:5000.
    I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari ad 80 volte.
    Tale evento trombotico è favorito in presenza di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l’assunzione di contraccettivi orali (rischio aumentato di 30 volte negli eterozigoti e di alcune centinaia negli omozigoti), gli interventi chirurgici.
    In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il fattore di Leiden è considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti placentari, alla sindrome HELLP.
    Tali manifestazioni sarebbero legate a trombosi delle arterie spirali uterine con conseguente inadeguata perfusione placentare.
    I soggetti portatori di mutazione del Fattore V di Leiden dovrebbero pertanto sottoporsi a profilassi anticoagulativa in corso di gravidanza o in funzione di interventi chirurgici ed evitare l’assunzione di contraccettivi orali.Fattore II (protrombina)
    La protrombina o fattore II della coagula-zione svolge un ruolo fondamentale nella cascata coagulativa in quanto la sua attivazione in trombina porta alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi alla formazione del coagulo.
    È stata descritta una variante genetica comune nella regione non trascritta al 3’ del gene che è associata ad elevati livelli di protrombina funzionale nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. Trattasi di una sostituzione di una G (guanina) con una A (adenina) alla posizione 20210 (G20210A), una regione non trascritta del gene dalla parte del 3’ che è sicuramente coinvolta nella regolazione genica post-trascrizionale, quale la stabilità del-l’RNA messaggero o con una maggiore efficienza di trascrizione del messaggero stesso.
    La frequenza ge-nica della variante è bassa (1,0-1,5%) con una percentuale di eterozigoti del 2-3%. L’omozigosi è rara.
    Per gli eterozigoti c’è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi venosa, di 5 volte per l’ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardio in donne giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali.
    MTHFR (Metilentetraidrofolatoredut-tasi)
    La metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nella trasformazione del 5-10 metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che serve come donatore di metili per la rimetilazione della omocisteina a metionina tramite l’intervento della vitamina B12.
    Rare mutazioni (trasmesse con modalità autosomica recessiva) possono causare la deficienza grave di MTHFR con attività enzimatica inferiore al 20% e comparsa di omoci-steinemia, omocistinuria e bassi livelli plasmatici di acido folico.
    La sintomatologia clinica è grave, con ritardo dello sviluppo psico-motorio e massivi fenomeni trombotici.
    Accanto alla deficienza grave di MTHFR è stato identificato un polimorfismo genetico comune, dovuto alla sostituzione di una citosina in timina al nucleotide 677, che causa una sostituzione di una alanina in valina nella proteina finale ed una riduzione dell’attività enzimatica della MTHFR pari al 50%, fino al 30% in condizione di esposizione al calore (variante termolabile).
    Tale variante comporta livelli elevati nel sangue di omocisteina specie dopo carico orale di metionina.
    La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al 12-13%.
    Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi considerati fattore di rischio per trombosi arteriosa forse attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale dei vasi. Inoltre in condizioni di carenza alimentare di acido folico, la variante tremolabile del MTHFR porta a livelli molto bassi di acido folico nel plasma ed è pertanto un fattore di rischio per i difetti del tubo neurale nelle donne in gravidanza.
    Condizioni di eterozigosi doppia, specie con la variante Leiden del fattore V o della variante 20210 della protrombina, può aumentare il rischio relativo per il tromboembolismo venoso, già alto per la presenza dell’altra variante.
    La diagnosi molecolare viene condotta effettuando l’analisi della mutazione dei geni del Fattore V di Leiden, fattore II, MTHFR.
    Si opera inizialmente una PCR, con cui vengono amplificati: l’esone 4 del gene MTHFR, la regione specifica al 3’ del gene del fattore II comprendente il nucleotide 20210 e l’esone 10 del gene del fattore V.
    I prodotti così ottenuti vengono sottoposti ad analisi di sequenza automatizzata mediante un sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente (ABI PRISM 310 genetic analyzer). L’analisi della mutazione viene effettuata mediante analisi comparativa tra le sequenze normali dei geni



    Abstract
    The authors present clinical case of patient with MTHFR deficit and genetic polymorphism due to substitution of a cytosine with thymine in to 677 nucleotide, who breed substitution of a alanine in valine in the final protein, and a reduction of activity of enzymes of the MTHFR.
    The thrombophilia associated to MTHFR deficit, show with homocystinuria, homocysteinhemia and acid folic deficit with consequences both thromboembolic or fetal nervous system development.
    The proper therapy is found on daily dose of folic acid (0,4mg).
    Recent study effected in pregnant women and in not pregnant women, show the efficacy of the use of minimum dose of heparin in the reduction of the risk of thromboembolic events.
    The heparin increase the action of ATIII who inhibit factor Xa, prevening thrombus formation.
    The heparin remains the standard for therapy of thromboembolic events.
    Key words: thrombophilia, MTHFR, heparin, pregnancy.


    Alessia Savo Elena Viola Isabella Taccheri
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    Edited by patroclotest - 1/10/2010, 13:39
     
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