geni difettosi per sopravvivere

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  1. daniela1969
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    Grazie alla selezione naturale si mantengono perché si rivelano vantaggiosi





    Perché esistono le malattie genetiche ereditarie ? Il punto é che, da un punto di vista evolutivo, queste malattie, legate a difetti del DNA che si trasmettono lungo le generazioni, sono difficili da spiegare. Se infatti un individuo ha un gene difettoso che causa una grave malattia, dovrebbe essere svantaggiato nel riprodursi rispetto a chi non ha difetti nel DNA. Quindi i suoi geni dovrebbero diventare sempre più rari nel pool genetico della specie e infine scomparire. Il mistero inizia sciogliersi grazie all’intrecciarsi delle ricerche cliniche con quelle genetiche, ambientali e persino storiche.



    Il primo indizio sulla soluzione all’enigma è venuto dagli studi sull’anemia falciforme condotti nel 1949 da Linus Pauling. Questa malattia, che se non curata spesso uccide prima dell’età adulta, è tipica dell’Africa tropicale occidentale, ma ne esiste anche una variante mediterranea chiamata talassemia. In entrambi i casi la causa è un difetto al gene HgbS, che codifica la formazione dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue.





    La talassemia...



    Che cos’hanno in comune l’Africa occidentale e l’Europa meridionale? Fino agli anni Cinquanta la risposta era la presenza endemica della malaria. Causata dal plasmodio, un protozoo parassita trasmesso dalle zanzare, la malaria era (ed è ancora in Africa) una delle cause principali di morte nell’infanzia. Le due anemie ereditarie sono caratterizzate da un’alterazione nella forma e nella resistenza dei globuli rossi, che diventano così fragili e deformati da non poter ospitare la fase riproduttiva del plasmodio. Perciò chi ha queste anemie non soffre di malaria. Scambiare la malaria con l’altrettanto grave anemia, però, non avrebbe senso. Il vantaggio viene dal fatto che solo chi riceve due geni HgbS difettosi, uno dal padre e uno dalla madre, è anemico. Chi ne riceve uno solo non soffre di anemia, ma egualmente acquisisce una certa resistenza alla malaria. Quindi, nell’ottica evolutiva, la variante “anemica” dell’HgbS, dove sia presente la malaria, conferisce un deciso vantaggio di sopravvivenza, anche se comporta un certo rischio (un bambino su quattro, da genitori che portino entrambi una copia difettosa del gene) di far nascere individui destinati, in assenza di cure, a una morte prematura.

    ... e l’emocromatosi



    Un caso simile è quello dell’emocromatosi, scoperto recentemente da Sharon Moalem, un giovane studioso canadese che lavora a New York presso la Mount Sinai School of Medicine. L’emocromatosi ereditaria deriva da una variante del gene C282Y che codifica la proteina che regola l’assorbimento del ferro dal cibo. Si tratta di una variante presente in ben il 30 per cento della popolazione europea, anche se solo relativamente pochi individui finiscono con accumulare tanto ferro nell’organismo da averne dei disturbi. Secondo Moalem l’estrema diffusione di questa variante genetica nel nostro continente non è casuale. Potrebbe infatti essere legata alla Morte Nera, la terribile epidemia di peste del 1347 che sterminò circa un terzo della popolazione europea. Nelle persone che hanno poco ferro nel sangue e, paradossalmente, in quelle che ne hanno troppo la diffusione di molti organismi patogeni è ostacolata. Per Moalem chi nell’Europa medioevale portava dentro di sé un gene per l’emocromatosi aveva più chance del normale di sopravvivere alla devastante Morte Nera e alle altre pestilenze che la seguirono. In altre popolazioni, come i pastori nomadi della Somalia, sembra invece che sia stata selezionata la protezione contraria contro le infezioni, ossia un’endemica carenza di ferro, tanto che la somministrazione di supplementi contenti ferro fa aumentare i casi di malattie infettive fra loro.





    Varianti genetiche potenzialmente pericolose



    Anche la seconda più diffusa variante genetica potenzialmente patologica in Europa sembra avere un vantaggio nascosto. Il 2 per cento degli europei porta nel proprio DNA una variante alterata di CFTR, il gene che regola la composizione del muco nel tratto respiratorio. Anche in questo caso solo chi riceve dai genitori due geni CFTR produce un muco eccessivamente denso e si ammala di fibrosi cistica, una grave malattia respiratoria. Come c’era da aspettarsi, però, Eric Poolman e Alison Galvani, della Yale University, hanno scoperto che avere un solo gene CFTR “difettoso” rende più resistenti alla tubercolosi, responsabile del 20 per cento delle morti in Europa fra il XVI e il XX secolo.

    Ancora più strano è il caso del gene CCR5. Il 10 per cento della popolazione europea presenta una variante, la ∆32, che produce un numero insolitamente scarso di proteine-recettori CCR5 sui globuli bianchi. La grande diffusione della ∆32 è stata notata solo dopo la comparsa dell’AIDS, in quanto chi ha meno recettori CCR5 sui globuli bianchi corre meno rischi di essere infettato dal virus HIV. Ma l’HIV è comparso in Europa solo 25 anni fa. Perciò in questo caso sembra che la difesa fosse pronta prima che arrivasse il nemico. Alison Galvani ipotizza che la variante genetica che difende dall’HIV protegga anche da un altro terribile killer dell’umanità, un virus che condivide alcune importanti caratteristiche con l’HIV: il vaiolo. Analizzando la diffusione del vaiolo in Europa nei secoli scorsi, la ricercatrice ha scoperto che essa coincide bene con l’attuale prevalenza della variante ∆32 nel continente.





    Non solo malattie infettive



    Sembra che le relazioni fra le patologie attuali e le vicissitudini passate della nostra specie non si limitino alle sole malattie infettive. Prendiamo il diabete, che interessa oggi quasi 200 milioni di persone al mondo. In parte questa malattia è legata all’epidemia di obesità che sta colpendo quella parte di umanità che ha a disposizione tutto il cibo che vuole. Ma, secondo Sharon Moalem, in certe popolazioni la predisposizione ad accumulare zucchero nel sangue potrebbe avere un’altra origine. La causa risalirebbe a 13 mila anni fa, quando un improvviso abbassamento della temperatura terrestre (conosciuta come Younger Dryas) mise in pericolo gli uomini che avevano colonizzato le latitudini più settentrionali del pianeta. Fra loro, gli individui che trattenevano più zucchero nel sangue, come dimostrato da molte ricerche, resistevano meglio al congelamento degli arti. L’eccesso di zucchero, che negli attuali diabetici produce molti e gravi inconvenienti, era allora ben sopportato perché la dieta era scarsa e si conduceva una vita molto più attiva (e molto più breve) della nostra.

    In modo simile, Moalem spiega la tendenza ad accumulare nel sangue un eccesso di colesterolo, una causa di malanni circolatori in tarda età particolarmente diffusa fra le popolazioni del Nord Europa. Sotto l’azione dei raggi ultravioletti solari, dal colesterolo deriva la vitamina D, fondamentale per la crescita delle ossa. Alle alte altitudini, dove c’è poco sole, gli individui che avevano più colesterolo nel sangue riuscivano, nonostante la poca luce, a produrre abbastanza vitamina D e raggiungevano più facilmente l’età adulta di chi teneva a livelli “normali” il proprio livello di colesterolo.





    Problemi di ipertensione per i neri americani



    Certo, le spiegazioni “evolutive” delle malattie ereditarie sono controverse e difficili da dimostrare. Ma c’è un caso molto più vicino a noi nel tempo che sembra confermare come l’approccio evolutivo alla medicina abbia un serio fondamento. I neri americani hanno una tendenza a sviluppare ipertensione arteriosa doppia di quella dei bianchi. Un fatto molto strano, perché le popolazioni Africane da cui derivano non ne soffrono particolarmente. Secondo Clarence Grim, della Drew University di Los Angels, la spegazione risale a una brutale forma di “selezione innaturale”: il commercio di schiavi. Tra quelli che venivano stipati nelle navi negriere e dovevano affrontare settimane di navigazione con poca acqua e un caldo asfissiante, sopravviveva più facilmente chi era maggiormente in grado di trattenere il sale nell’organismo, evitando il collasso. Ma trattenere più sale, in condizioni normali, è una condizione per l’instaurarsi di un’ipertensione arteriosa. Di nuovo, un vantaggio immediato di sopravvivenza si è tradotto in problemi di salute per l’intera popolazione derivata da quei lontani sopravvissuti.







    L’approccio evolutivo può offrire nuove terapie



    Intervista a Sharon Moalem





    Il genetista Sharon Moalem lavora presso la Mount Sinai School of Medicine di New York ed è autore di Survival of the Sickness, un libro scritto insieme a Jonathan Prince. Lo abbiamo incontrato per indagare sui suoi studi.



    Come è cominciato il suo interesse per i rapporti fra medicina ed evoluzione?

    “È stata proprio l’emocromatosi, che circola nella mia famiglia, a far nascere in me la curiosità per la biologia. Una volta diventato genetista ho capito che quello che noi consideriamo un “difetto genetico” deve aver avuto in altri tempi una sua ragione di esistere, come proteggerci da un male peggiore, per esempio la peste”.



    Sta ancora lavorando in questo campo?

    “Certo. Sto appunto scrivendo un secondo libro su questo argomento. In particolare sto lavorando sulle ragioni delle malattie ereditarie che coinvolgono il sistema nervoso, come le distrofie o la sclerosi multipla. Credo che la loro spiegazione risieda nella tendenza di alcuni organismi patogeni a imitare, a livello molecolare, le nostre cellule per passare inosservati. Un fatto che talvolta causa attacchi del sistema immunitario ai tessuti dell’organismo”.



    Che cosa può offrire l’approccio evolutivo alla medicina, in termini di terapie?

    “Molto. Per esempio la comprensione delle relazioni fra emocromatosi e peste ha permesso a me e ai miei colleghi di elaborare nuove terapie basate sulla disponibilità di ferro nell’organismo, per combattere i batteri resistenti agli antibiotici”.



    Non crede che sia rischioso eliminare i “difetti” dal genoma con tecniche di ingegneria genetica?

    “ È vero: bisogna stare molto attenti a eliminare tratti “indesiderati” dal DNA degli organismi viventi. Perché in realtà potremmo eliminare varianti genetiche che hanno permesso e permettono la sopravvivenza”.



    E non crede che l’approccio evolutivo potrebbe essere usato anche per giustificare alcune forme di razzismo?

    “Anche questo rischio esiste. Ma non credo che la risposta sia negare, come fanno alcuni miei colleghi, che ci sono rilevanti differenze genetiche fra i gruppi umani. Queste differenze esistono e sono dovute alle condizioni in cui quelle popolazioni hanno dovuto sopravvivere per millenni. Ma le dobbiamo utilizzare in modo positivo, per capire quali sono i nostri punti di forza e di debolezza”.







    Articolo tratto dal “Corriere del Ticino” del 10 marzo 2008.

    Servizio a cura di Alessandro Saragosa

    Consulenza scientifica di Marco Cagnotti





    Edited by daniela1969 - 17/7/2008, 12:28
     
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