chron e farmaci biologici

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  1. alfonso1953
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    Le terapie biologiche nel trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali
    Angelo Pera, Raffaello Sostegni, Marco Daperno, Nadia Scaglione, Alessandro Lavagna, Caterina Rigazio, Elena Ercole, Rodolfo Rocca.
    Centro Malattie Infiammatorie Croniche intestinali, UOA Gastroenterologia, Ospedale Mauriziano Umberto I, Torino
    [email protected] [email protected]
    Introduzione
    Il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali si è basato da metà degli anni Cinquanta a metà degli anni Novanta principalmente sull’utilizzo dei glucocorticosteroidi, cui negli anni si sono associati alcuni farmaci immunosoppressori (soprattutto l’azatioprina) e antibiotici.
    Un vasto numero di altri agenti farmacologici è stato proposto come alternativa all’uso degli steroidi, ma per efficacia o praticità nessuno di essi ha mai eguagliato gli steroidi.
    Le cosiddette “terapie biologiche”, comparse a partire dalla metà degli anni Novanta, hanno rappresentato la prima arma terapeutica innovativa rispetto agli steroidi dagli anni Cinquanta.


    Perché “terapie biologiche”?

    Le terapie biologiche rappresentano la conseguenza di anni di studio dei meccanismi tramite cui le malattie infiammatorie croniche si sviluppano e si mantengono, e sono un esempio di successo nella traduzione in nuove possibilità terapeutiche per i pazienti che possono derivare da studi apparentemente molto teorici.

    Uno dei punti essenziali delle malattie infiammatorie croniche, che viene continuamente ripetuto, è che al momento la loro causa, o meglio l’insieme delle loro cause, non è conosciuto.

    Tuttavia gli studi immunologici degli ultimi venti anni hanno consentito di dissezionare e spiegare approfonditamente alcuni dei meccanismi che determinano l’anormale infiammazione intestinale caratteristica della malattia di Crohn e della rettocolite ulcerosa.

    In particolare è ormai ben noto che la differenza tra infiammazione cronica (patologica e caratteristica delle malattie infiammatorie croniche intestinali) e normale è principalmente legata ad una rottura dell’equilibrio normalmente esistente tra fattori che facilitano l’infiammazione (pro-infiammatori) e che la frenano (anti-infiammatori) (Figura 1).

    A livello molecolare sono stati individuati i mediatori coinvolti in questo equilibrio, sostanze chiamate citochine o interleuchine, di cui alcune hanno una funzione prevalentemente antiinfiammatoria ed altre un’effetto pro-infiammatorio.

    Gli studi hanno rilevato che nell’intestino dei pazienti affetti da malattia di Crohn o rettocolite ulcerosa si può osservare uno squilibrio a favore delle molecole proinfiammatorie, che sembra essere il motore dell’infiammazione cronica.

    In alcuni modelli sperimentali (animali), si è potuto osservare che la possibilità di agire su questo delicato equilibrio può determinare lo sviluppo o meno dell’infiammazione: cancellando le informazioni genetiche che determinano la produzione di molecole antiinfiammatorie, si generano animali che sviluppano infiammazione cronica a livello intestinale; d’altro canto il blocco di citochine proinfiammatorie, determina la riduzione o la scomparsa dell’infiammazione.


    Figura 1. Il normale equilibrio tra fattori proinfiammatori ed antiinfiammatori attivi nell’intestino viene stravolto nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, favorendo lo sviluppo ed il mantenimento dell’infiammazione cronica.






    Il passo successivo è stato il tentativo di creare nuovi farmaci che potessero interagire con l’equilibrio delle citochine pro- ed anti-infiammatorie nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali.

    Questa strategia terapeutica non è esente da ogni tipo di rischio, perché va ricordato che gli stessi meccanismi che portano all’infiammazione cronica non sono sostanzialmente diversi da quelli che consentono la risposta immunitaria a infezioni ed aggressioni dall’esterno. La differenza non si basa, infatti, sul tipo di citochine coinvolte, quanto piuttosto sul loro rapporto reciproco (equilibrio) e sui tempi necessari a tornare alla normalità.


    Tra tutti i meccanismi patologici studiati, tre campi sono sembrati particolarmente importanti e meritevoli di diventare candidati bersagli terapeutici.

    In primo luogo è stato notato che le citochine proinfiammatorie sono presenti nell’intestino dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali in quantità da 10 a 100 volte superiori a individui sani. E tra tutte le citochine infiammatorie una delle più importanti individuate è il TNF-alfa (sigla che sta per Tumour Necrosis Factor di tipo alfa). Questa citochina è prodotta dai globuli bianchi e serve a richiamare altri globuli bianchi nel punto dove viene prodotta. Si può facilmente immaginare come il suo incremento nell’intestino dei pazienti con malattia di Crohn o rettocolite ulcerosa rappresenti la “benzina” dell’infiammazione, in grado di automentenere un “incendio” una volta attivato il processo.

    Un altro interessante dato sperimentale è che d’altro canto nei tessuti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali le citochine antiinfiammatorie sono ridotte, per cui allo stesso tempo laddove sarebbe maggiormente importante una loro azione “da pompieri”, viene a mancare addirittura il loro livello normale. Tra le più importanti citochine antiinfiammatorie vi è la IL-10 (sigla che significa Interleuchina 10).

    Infine un terzo campo di interesse è rappresentato dalla scoperta che per arrivare nelle aree infiammate i globuli bianchi hanno bisogno di potersi attaccare a specifici recettori sulla parete dei vasi sanguigni, dette molecole di adesione, come a “ganci” che permettono loro di non essere portati via dal circolo sanguigno. Nei tessuti infiammati dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali il numero di questi “ganci” è anormalmente aumentato, rendendo più facile l’accesso dei globuli bianchi alle aree infiammate. Tra queste molecole di adesione le più abbondanti ed importanti sembrano essere le molecole ICAM (sigla che sta per Molecole di Adesione Intercellulare) e le integrine.


    Pertanto le “terapie biologiche” rappresentano altrettanti tentativi di sviluppare nuove strategie terapeutiche che agiscano selettivamente in uno dei 3 campi che sono appena stati brevemente descritti:

    Blocco delle molecole proinfiammatorie
    Supporto e promozione delle molecole antiinfiammatorie
    Blocco delle molecole di adesione


    Blocco delle molecole proinfiammatorie: l’esempio dell’Infliximab
    L’infliximab è stata la prima forma di terapia biologica ampiamente disponibile sul mercato farmaceutico mondiale per il trattamento della malattia di Crohn (ed è in fase di sperimentazione per la rettocolite ulcerosa). Risponde all’esigenza di bloccare l’azione del TNF-alfa, in quanto molecola pro-infiammatoria. Tra le varie possibilità è stata scelta quella di ricostruire in laboratorio un anticorpo che riconoscesse il TNF-alfa, in modo da bloccarlo in maniera selettiva. Data l’estrema difficoltà di ricostruire del tutto artificialmente un anticorpo umano con queste caratteristiche, l’infliximab è una “chimera” con 2/3 della sua struttura umani, ed un terzo, quello che riconosce il TNF-alfa, derivato dal topo. Nella Figura 2 è schematizzato il meccanismo d’azione dell’infliximab.


    Figura 2. Meccanismo d’azione infiammatorio del TNF-alfa e meccanismo antiinfiammatorio proposto per l’infliximab.





    Gli studi hanno dimostrato che l’infusione endovenosa di infliximab è in grado di determinare una regressione dell’infiammazione nei pazienti affetti da malattia di Crohn in maniera significativamente superiore al placebo, inoltre l’infusione periodica (studiata fino ad un anno) è risultata un metodo efficace di mantenere la remissione ottenuta acutamente, e anche un’efficacia (temporanea) per quanto riguarda la chiusura delle fistole è stata dimostrata.

    Al momento attuale nel mondo sono stati trattati oltre 200.000 pazienti (per malattia di Crohn o artrite reumatoide), nonostante la commercializzazione del farmaco risalga solo al 1997 negli Stati Uniti ed al 1999-2000 in Europa.

    Complessivamente circa 2/3 dei pazienti trattati con infliximab migliora sensibilmente, tuttavia vanno considerate alcune note di cautela:

    L’infliximab è controindicato in caso di scompenso cardiaco avanzato (è stato dimostrato che in tale caso può aggravare la malattia cardiaca), in presenza di raccolte ascessuali, di infiammazioni croniche ed in particolare in caso di un precedente contatto con il bacillo della tubercolosi (infatti la sua azione immunosoppressiva può facilitare una tubercolosi disseminata, che in alcuni casi è risultata anche mortale)
    L’infliximab determina la guarigione delle ulcerazioni intestinali (quando risulta efficace), ed in caso di restringimenti critici del calibro intestinale il trattamento con infliximab è sconsigliato in quanto è verosimile che il processo di guarigione comporti una cicatrizzazione con ulteriore restringimento del lume intestinale ed occasionalmente ha comportato episodi di ostruzione intestinale
    L’infliximab è più efficace del placebo (non-trattamento) nella misura del 30-35% circa, quindi in realtà solo ogni tre pazienti trattati uno sta veramente meglio che se fosse trattato solo con i metodi tradizionali
    Gli effetti dell’infliximab sulla gravidanza non sono noti, e il TNF-alfa è coinvolto nell’attecchimento dell’embrione, per cui è sconsigliato l’uso se una gravidanza è prevista o in corso
    Vi è evidenza che il trattamento conduce nel tempo allo sviluppo di una reazione immunitaria contro l’infliximab che determina da un lato una minor efficacia del farmaco stesso, e dall’altro rende più probabili reazioni avverse all’infusione farmaco stesso; tale risposta appare ridotta nei pazienti che assumono insieme all’infliximab un’adeguata terapia immunosoppressiva con azatioprina o metotrexate, o che vengono trattati in maniera molto ravvicinata, mentre appare aumentata in caso di ritrattamento molto lontano nel tempo (dopo oltre un anno senza trattamento)


    Supporto e promozione delle molecole antiinfiammatorie: l’esempio del Tenovil
    Notevole interesse in questo campo è stato legato alle osservazioni sul ruolo essenziale dell’IL-10 nel ridurre l’infiammazione, e la strategia di tentare di spegnere l’infiammazione aumentando i livelli di una molecola naturalmente presente ed attiva contro l’infiammazione è sembrata una delle migliori strategie terapeutiche possibili.

    Tuttavia al momento attuale due diversi studi condotti su pazienti affetti da malattia di Crohn con il Tenovil (che è una molecola di IL-10 ricostruita in laboratorio, e pertanto detta ricombinante) non hanno rilevato una maggiore efficacia rispetto al non trattamento. Peraltro questo farmaco non è attualemente disponibile per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali.

    Tuttavie è possibile pronosticare che questo tipo di strategia potrà essere tentata ancora, e con maggior fortuna.


    Blocco delle molecole di adesione: l’esempio dell’Antegren
    Per quanto riguarda l’azione contro il terzo bersaglio, le molecole di adesione che facilitano il reclutamento delle cellule infiammatorie nelle aree più infiammate, un nuovo farmaco è attualmente in fase di studio: l’antegren, che è un anticorpo monoclonale (come l’infliximab) mirato a bloccare uno specifico tipo di integrine.

    Al momento attuale la sua efficacia appare ancora da dimostrare, ma alcuni studi internazionali attualmente in corso potranno definire la bontà o meno e la sicurezza di questo tipo di strategia antiinfiammatoria.

    Un’altra molecola che tenta di agire sulle molecole di adesione è l’Alicaforsen, in fase di studio, apparentemente attivo solo in un sottogruppo di pazienti affetti da malattia di Crohn, che sfrutta una molecola speculare al codice necessario per la produzione delle molecole ICAM, e pertanto impedisce una loro sovrabbondante produzione. Tuttavia anche per questa molecola, una parola definitiva sull’efficacia reale non è ancora stata scritta.


    Conclusioni
    Le terapie biologiche sono l’esempio un successo nella traduzione in risultati pratici per il trattamento dei pazienti di studi scientifici apparentemente teorici, e rappresentano uno stimolo nel proseguire la ricerca.

    Tuttavia va usata cautela perché la sempre più profonda conoscenza delle sfaccettature alla base dei processi infiammatori determina da un lato la scoperta di nuovi bersagli per nuove strategie estremamente mirate, ma tutti i possibili bersagli sono nell’organismo umano in equilibrio con tutta una serie di altri fattori. Pertanto il blocco o la promozione di un particolare meccanismo infiammatorio può avere un effetto positivo sull’infiammazione sovrabbondante, ma anche determinare ricadute negative in altri organi o apparati, o comunque deprimere eccessivamente quello che è un meccanismo di normale difesa sfuggito alle normali regolazioni.

    L’infliximab, come capostipite delle terapie biologiche, ha fornito a medici e pazienti una nuova arma da aggiungere alle altre disponibili. In oltre 40 anni di storia del trattamento delle malattie infiammatorie intestinali è forse la prima piccola “rivoluzione” dopo l’avvento degli steroidi. Tuttavia al momento attuale le sue indicazioni rimangono quelle di farmaco di terzo livello, da utilizzare solo in caso di fallimento o intolleranza ai farmaci che conosciamo da più tempo.

    Domande che dato l’utilizzo relativamente recente del farmaco sono ancora prive di risposta riguardano i possibili effetti collaterali a lungo termine legati alle terapie biologiche in generale, che vanno ad interagire a livello estremamente preciso e selettivo su equilibri immunologici che i “vecchi” farmaci alteravano in maniera del tutto grossolana, effetti sulla fertilità e sulla gravidanza, e quali regimi di mantenimento possano essere proposti.

    Non da ultimo il costo di questi nuovi agenti farmacologici è spesso molto elevato, anche per gli anni di ricerca che sono necessari per sviluppare una nuova molecola. Nel calcolo dell’impatto di queste nuove spese sul sistema sanitario, però, si considera sempre più l’importanza della variazione della qualità della vita che si determina nei pazienti, per cui l’equilibrio di questa bilancia va riconsiderato con nuovi strumenti.




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    Edited by alfonso1953 - 26/8/2009, 10:48
     
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