LA SPONDILITE ANCHILOSANTE

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  1. alfonso1953
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    LA SPONDILITE ANCHILOSANTE LA SPONDILITE ANCHILOSANTE INTRODUZIONE La Spondilite Anchilosante (SA), con l’artrite reattiva, alcune forme di artrite psoriasica, le artriti associate a malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa) e le spondiloartriti indifferenziate, fa parte del gruppo delle spondiloartropatie (SpA). Tra queste, è certamente la patologia maggiormente comune e con il decorso più severo. (1) La SA è una malattia reumatica infiammatoria sistemica che coinvolge prevalentemente le articolazioni spinali e sacroiliache. Tale condizione è responsabile di dolore lombare, rigidità, (Fig. 1) ma anche di notevole riduzione della capacità funzionale articolare con gravi conseguenze sugli aspetti socio-economici. (2) Il “management” della SA comporta una stretta educazione del paziente, e un programma di attività fisica regolare di concerto con l’utilizzo dei Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS). Una seconda linea di trattamento, specie (e non solo) nei casi in cui la malattia è particolarmente severa e refrattaria ai soli FANS, è rappresentata dalla SULFASALAZINA, che ha dimostrato, in parecchi “trials” clinici, essere efficace e ben tollerata in quei pazienti con (prevalente) artrite periferica. (2,4) Purtroppo la SA è una malattia che beneficia di poche opzioni terapeutiche, ed il paziente affetto dalle forme maggiormente invalidanti risulta di difficile gestione. (3). EPIDEMIOLOGIA Nel gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie, la SpA è la diagnosi più comune dopo l’artrite reumatoide. La sua prevalenza è stata a lungo sottostimata. La SA e le SpA indifferenziate (uSpA) sono i sottogruppi più comuni nei paesi occidentali.
    La SA ha un'incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile ed esordisce in genere in pazienti di età compresa tra i 20 e i 40 anni. È 10-20 volte più frequente in parenti di primo grado di pazienti con SA, rispetto alla popolazione generale e l'aumentata prevalenza dell'Ag tissutale HLA-B27 nei bianchi o dell'Ag HLA-B7 nei neri, suggerisce una predisposizione genetica, benché fattori ambientali possano svolgere un ruolo significativo. Si stima che il rischio potenziale di sviluppare la SA, per individui con HLA-B27 positivi, è di circa il 20%. ETIOPATOGENESI La patogenesi della SA è ancor oggi poco conosciuta, anche se i meccanismi della risposta immuno-mediata coinvolgenti l’antigene leucocitario umano (HLA)-B27, gli infiltrati cellulari infiammatori, le citochine ad attività pro-infiammatoria (TNF-a e IL-10) e i fattori genetici ed ambientali sembrerebbero avere un ruolo chiave. (5). Le ipotesi patogenetiche sono senza alcun dubbio in continua evoluzione; in particolare, le teorie immunologiche, che chiamano in causa una cross-reazione tra proteine “self” e peptidi batterici, alimentano sempre più il concetto secondo cui, batteri in fase di latenza, residenti in macrofagi e cellule dendritiche, andrebbero incontro a una riattivazione attraverso un processo facilitato e promosso dall’HLA-B27. In tale contesto, l’HLA, sarebbe soggetto a una sorta di sfaldamento, che determinerebbe una diminuzione delle capacità proprie di presentazione di peptidi batterici al sistema immune, stimolando così macrofagi e cellule dendritiche infette. La migrazione di queste cellule ai tessuti bersaglio della SA, specie nel midollo localizzato vicino le entesi, potrebbe facilitare la riattivazione di batteri (dominanti) intracellulari creando un favorevole ambiente citochinico. Tale ambiente, potrebbe includere alti livelli di TGF-beta e IL-10, presenti anche in altri siti cosiddetti bersaglio e, quindi, privilegiati dalla risposta del sistema immune come ad esempio l’occhio (segmento anteriore). La riattivazione, teoricamente, potrebbe essere bloccata da una risposta locale da parte dei CD4+ e/o CD8+ (cellule T) all’infiammazione (in loco) responsabile delle manifestazioni cliniche. Miglioramenti nella comprensione dei meccanismi che conferiscono ad alcuni ceppi batterici una potenziale forza per la persistenza all’interno di cellule, includenti i macrofagi, potrebbero aprire la via a nuovi e maggiormente efficaci approcci terapeutici. (6) L’HLA-B27 è certamente importante e significativo in quanto presente in circa il 90% dei pazienti affetti da SA; ma come questo marker genetico conferisca la malattia o la suscettibilità allo sviluppo è ancora assai poco conosciuto. Studi recenti su famiglie e gemelli affetti da SA hanno mostrato che geni addizionali non-HLA-B27 sono necessari per lo sviluppo della malattia. In tale apparente controversia si inserisce il ruolo di agenti esogeni inizianti il processo infiammatorio cronico che non sono stati chiaramente identificati, anche se klebsiella pneumoniae rimane una dei forti candidati; il microrganismo potrebbe agire attraverso il canale intestinale, specie in quei pazienti che mostrano interessamento enterico di tipo infiammatorio. (7)
    Assai recentemente, in considerazione della frequenza e della severità della malattia che è preponderante nel sesso maschile, è stato implicato nell’etiologia della SA il ruolo degli steroidi androgeni. 9 In conclusione, si può affermare senza grandi difficoltà, come la SA sia caratterizzata dalla più forte associazione con un antigene dell’HLA mai descritta per alcuna patologia; essa rappresenta, pertanto, il modello ideale per la comprensione dei legami tra le malattie immuno-mediate ed il sistema HLA. (8) CLINICA Il sintomo d'esordio più frequente è la lombà o, sebbene la malattia possa iniziare in modo atipico con un interessamento delle articolazioni periferiche, particolarmente nei bambini e nelle donne; raramente esordisce con una irite acuta (uveite anteriore). Altro sintomo iniziale, ma meno comune, potrebbe essere la diminuzione dell'espansibilità toracica, risultante dall'interessamento diffuso delle strutture costo-vertebrali e/o costo-sternali; sintomi aspecifici come febbricola e astenia, e assai più rari come anoressia, perdita di peso e anemia, generalmente ipocromica-microcitica (presente in forme evolute, tipicamente associata a malattie croniche infiammatorie) rappresentano altre manifestazioni non comuni. I criteri diagnostici per la spondilite anchilosante risalgono al 1984, ovvero i criteri di New York modificati. (Tabella 1) La lombàgo, più spesso notturna e di varia intensità in ragione dell’aggressività della malattia, insieme con la rigidità mattutina che in modo caratteristico si allevia con il movimento, sono sintomi presenti nella quasi totalità della SA, o perlomeno, nelle forme sicuramente più aggressive. Il mantenimento di una postura in flessione o inclinata in avanti migliora la lombalgia e lo spasmo dei muscoli paraspinali, pertanto, è comune una cifosi di vario grado. Tabella 1: Criteri diagnostici di “New York modificati” per la Spondilite Anchilosante
    1. Dolore lombare che migliora con il movimento e non scompare al riposo
    2. Riduzione della mobilità lombare sul piano sagittale e frontale
    3. Riduzione della espansibilità polmonare in rapporto al sesso e alla età
    4. Sacroileite bilaterale di grado 2-4
    5. Sacroileite monolaterale di grado 3-4
    Diagnosi definita se: sacroileite monolaterale di grado 3-4, o sacroileite bilaterale di grado 2-4 associata ad un qualunque criterio clinico.
    In circa 1/3 dei pazienti sono riscontrabili manifestazioni sistemiche che variano da ricorrenti episodi di irite acuta, abitualmente autolimitantesi (uveite anteriore) raramente tanto gravi da danneggiare la vista, a segni neurologici come radicoliti o sciatalgie da compressione, fratture o sublussazioni vertebrali, la sindrome della “cauda equina” (impotenza funzionale, incontinenza urinaria notturna, diminuzione dello stimolo alla minzione e alla defecazione, assenza dei riflessi achillei). Assai meno comuni le manifestazioni cardiovascolari tra cui l’insufficienza aortica, rari episodi di angina, pericardite e anomalie di conduzione all'ECG. L'interessamento polmonare è molto raro (fibrosi del lobo superiore).
    La SA è caratterizzata da accessi di spondilite, di lieve o moderata intensità, alternati a periodi silenti. In questi pazienti, è di fondamentale importanza la valutazione clinico-strumentale della malattia attraverso la definizione degli “outcomes” per la SA. (Tabella 2).
    Tabella 2: Definizione degli “outcomes” per la Spondilite Anchilosante
    ATTIVITÀ DI MALATTIA BASDAI, VAS dolore
    FUNZIONE FISICA BASFI, BASMI, DFI, HAQ-S
    STATO DI SALUTE GLOBALE BAS-G
    “OUTCOMES” RADIOLOGICI BASRI SASS

    Il BASDAI (Back Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index) combina la stima della mobilità spinale e della funzionalità articolare delle sacroiliache; esso consta dei seguenti “items”:
    ß Distanza trago-parete;
    ß Flessione lombare (Schober’s test);
    ß Rotazione cervicale;
    ß Flessione spinale laterale;
    ß Distanza intermalleolare.
    Secondo gli strumenti ASAS per la valutazione della malattia (Van der Heijde D. et al. AnnRheumDisease2002;61(Suppl.3):24-32) è possibile distinguere tra domini e strumenti per la valutazione degli stessi. (Tabella 3)

    Tabella 3: Domini e Strumenti ASAS
    Funzione fisica BASFI, Dougados Functional Index
    Dolore VAS ultima settimana (spinale) la notte VAS spinale (no restrizioni)
    Mobilità Spinale Espansione toracica (cm), Schober modificato, distanza occipite-parete
    Stato di salute globale del paziente VAS: ultima settimana
    Rigidità Durata al mattino (min), rachide ultima settimana
    Articolazioni periferiche/entesiti N° di articolazioni tumefatte
    Reattanti della fase acuta (VES)
    Rx del rachide AP e lombare laterale
    Rx del bacino AP e lombare laterale
    Fatica


    Il test di Schober consiste nell’identificare un punto che si trova equidistante in una linea immaginaria che unisce le spine iliache postero-superiori mentre il paziente è in posizione ortostatica, segnare un ulteriore punto 10 cm superiormente al precedente e chiedere al paziente di flettersi in avanti al massimo delle sue possibilità. Con il rachide in massima flessione, misurare la distanza tra i due punti. La distanza normale è ≥15 cm.

    RADIOLOGIA

    Tipiche sono le alterazioni radiologiche, specie, in fase avanzata della malattia che comprendono quadri di sacroileite mono o bilaterale, erosioni e sclerosi ossea reattiva (opacità dell’osso subcondrale) che risulta generalmente più evidente sul versante iliaco dell’articolazione. Tipiche dello scheletro assile sono le alterazioni determinate dalla flogosi degli strati superficiali dell’anulus fibrosus, nelle sedi di inserzione ai margini dei corpi vertebrali con induzione di una sclerosi ossea reattiva (“angoli splendenti”) ed il conseguente riassorbimento osseo (erosioni). Al termine di questo processo il corpo vertebrale tende ad assumere l’aspetto della vertebra “squadrata” (radiogrammi in proiezione latero-laterale); pertanto si assiste alla graduale formazione di “ponti” ossei intervertebrali chiamati sindesmofiti. Alterazioni di tipo infiammatorio coinvolgono spesso anche le articolazioni interapofisarie che a loro volta vanno incontro ad anchilosi; il tutto può essere complicato dalla ossificazione dei legamenti interspinosi. Nel loro complesso, queste modificazioni, sono responsabili dell’anchilosi completa della colonna (“colonna a canna di bamboo”) che si manifesta soprattutto in pazienti con spondilite di lunga durata (7-10 aa) ed in stretta dipendenza all’aggressività della malattia stessa. L’osteoporosi della colonna, sebbene compaia più frequentemente in pazienti malati da lungo tempo, si può anche sviluppare nelle fasi precoci.

    TERAPIA

    Fondamentalmente la terapia della spondilite anchilosante si fonda sull’utilizzo di Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei (FANS). Tra i più efficaci e maggiormente utilizzati l’INDOMETACINA, il DICLOFENAC, l’IBUPROFENE, il KETOPROFENE, il NAPROSSENE.
    Le molecole appartenenti a questa grande famiglia di farmaci sono ragionevolmente tutte utilizzabili, a dosaggi variabili, nel tentativo di conservare un accettabile rapporto tra efficacia e i potenziali (e/o reali) effetti tossici.
    Negli ultimi anni, molte segnalazioni di beneficio clinico, perlomeno per le forme associate ad artrite periferica (o prevalente), sono pervenute riguardo la SULFASALAZINA, vecchio salicilato utilizzato un tempo per le malattie infiammatorie dell’intestino (oggi è preferita la mesalazina, figlia legittima). (2, 4)
    La dose iniziale è una compressa/die (500 mg), preferibilmente a stomaco pieno, per una settimana, aumentando di una cpr ogni 7 giorni fino ad una dose di mantenimento che può variare da 1-2 gr (2-4 cpr) di SULFASALAZINA/die, in ragione della risposta del paziente (efficacia/tossicità); 1 alcuni clinici preferiscono, in casi particolarmente resistenti, aumentare il dosaggio fino a 2-3 gr/die (4-6 cpr), magari in associazione con un FANS, e comunque, tale scelta associativa, è generalmente una costante per la terapia della SA. Per tale ultima ragione, è consigliabile prevenire eventuali gastropatie attraverso la contemporanea somministrazione di gastroprotettori (misoprostolo, anti-acidi, inibitori di pompa, etc..); è altresì consigliabile, controllare periodicamente la crasi ematica almeno nei primi due mesi di terapia con SULFASALAZINA.
    Altri farmaci di fondo (DMARD’s) come METHOTREXATE, AURANOFIN, IDROSSICLOROCHINA, AZATIOPRINA, LEFLUNOMIDE e CICLOSPORINA sono da sconsigliare in quanto non esistono studi sulla loro comprovata efficacia.
    Gli steroidi sono sicuramente un capitolo controverso; vi sono rare circostanze in cui un loro impiego (topico) nella SA potrebbe essere giustificato, ma in linea generale, sono sicuramente da sconsigliare per la ridotta efficacia rispetto ai FANS e gli effetti collaterali non indifferenti, specie sul metabolismo osseo.
    Di recente una nuova terapia per la SA ha drasticamente trovato grande spazio, perlomeno per le forme severe, molto aggressive, e quindi refrattarie alle poche armi terapeutiche fino ad oggi a disposizione.
    Un anticorpo monoclonale anti-TNFa, INFLIXIMAB (REMICADE – SCHERING PLOUGH”), molecola nata come terapia per il morbo di Crohn (MC), è estremamente efficace e ben tollerata anche nell’artrite reumatoide (AR); in commercio in Italia dalla fine del 2000 con l’indicazione per entrambe le patologie, ed utilizzata in vari trials clinici per altre patologie dove il TNFa, citochina ad attività pro-infiammatoria, è stato dimostrato avere un ruolo pilota e centrale in quella che è la cosiddetta cascata infiammatoria, del tutto recentemente, sempre più numerose evidenze cliniche, hanno portato all’utilizzo di INFLIXIMAB nel trattamento della SA. (1, 10)
    Dal 2003, tra le indicazioni all’uso del farmaco è presente anche la SA, insieme con il MC e l’AR.
    INFLIXIMAB (farmaco in fascia H) è esclusivamente somministrabile in ambiente ospedaliero, solo presso presidi con autorizzazione ministeriale (Reumatologia e/o Immunologia autorizzati). La via di somministrazione è esclusivamente infusionale (endovenosa), anche se evidenze cliniche recentissime, riportano successi nella terapia infiltrativa di INFLIXIMAB (100 mg/iniezione intrarticolare da ripetere dopo 24h) in pazienti affetti da AR con mono-oligoartrite resistente ai tradizionali trattamenti. 16 I protocolli di somministrazione sono sostanzialmente due con efficacia sostanzialmente sovrapponibile; (11, 12) una prima scelta è riconducibile alle esperienze con i tempi di somministrazione per l’artrite reumatoide, ovvero la prima somministrazione a tempo 0 poi 2^, 6^ settimana (fase induttiva) ed ogni 2 mesi (mantenimento). In ragione della risposta individuale del paziente è possibile ridurre (più frequentemente) fino a 45-50 gg o aumentare (non si hanno precise evidenze in tal senso) l’intervallo di somministrazione tra due dosi di INFLIXIMAB (periodo di mantenimento). (12) Altra tipologia di somministrazione per la SA secondo i trials clinici risulta una infusione ogni 6 settimane. (11)
    Per l’utilizzo di INFLIXIMAB sono aperte delle riflessioni che nascono dalle evidenze cliniche e dalle conoscenze scientifiche. In primis ci si chiede, come peraltro per i tradizionali DMARD’s, per quanto tempo bisogna continuare la terapia con questa molecola che nasce con mire di grande immunosoppressione (certamente superiore alle terapie convenzionali), ma che dal suo utilizzo sembrerebbe avere, ancor prima, una potentissima azione anti-infiammatoria (confermata anche e soprattutto dall’azione diretta, volta al blocco del TNFa); seconda riflessione, ma non per importanza inferiore, quale siano gli effetti a lungo termine di questo farmaco con attività diretta anti-TNFa citochina certamente ad azione pro-infiammatoria, ma con azioni fisiologiche notevolmente importanti a carico di organi ed apparati (fattore di necrosi tumorale, attività protettiva nei confronti delle ischemie, specie miocardiche, quindi interattività con l’azione del nitrossido endogeno, etc..).
    Del tutto recentemente, si è prospettato l’utilizzo nella SA anche di un altro farmaco con azione anti-TNFa, ETANERCEPT (ENBREL – WYETH LEDERLE”), con diverse modalità di somministrazione per via, dose e intervallo (sottocutanea, 25mg due volte la settimana; presto anche una nuova formulazione di 50mg in un'unica somministrazione settimanale) e con efficacia assolutamente sovrapponibile ad INFLIXIMAB per quel che riguarda l’artrite reumatoide, ma a differenza di quest’ultimo, in attesa dell’autorizzazione ministeriale per l’inserimento tra le indicazioni ufficiali, il trattamento della spondilite anchilosante (probabilmente entro i primi mesi del 2004).

    NOTE BIBLIOGRAFICHE
    1. J. Sieper, J Braun – New treatment options in ankylosing spondylitis: a role for anti-TNFa therapy – Ann Rheum Dis 2001;60:58-61
    2. E. Toussirot, D. Wendling – Therapeutic advances in ankylosing spondylitis – Exp. Opin. Invest. Drugs (2001)10(1):21-29
    3. M. Breban, E. Mignon, P. Claudepierre et al – Efficacy of infliximab in refractory ankylosing spondylitis: results of a six-month open-label study – Rheumatology 2002;41:1280-1285
    4. M. Stone, D. Salonen, M. Lax, U. Payne, V. Lapp, and R. Inman – Clinical and imaging correlates of response to treatment with infliximab in patients with Ankylosing Spondylitis – J Rheumatol 2001;28:1605-14
    5. Sieper J; Braun J; Rudwaleit M; Boonen A; Zink A – Ankylosing spondylitis: an overview - Ann Rheum Dis 2002 Dec;61 Suppl 3:1108-18
    6. Berthelot JM; Glemarec J; Guillot P; Laborie Y; Maugars Y – New pathogenic hypotheses for spondyloarthropathies – Joint Bone Spine 2002 Mar;69(2):114-22
    7. Gran JT – Pathogenesis of Bechterew disease – Tidsskr Nor Laegeforen 1998 Nov 30;118(29):4537-40
    8. Cauli A; Dessole G; Nurchis PP; Vacca A; Mameli A; Garau P; Pala R; Passiu G; Mathieu A – The role of HLA-B27 molecules in the pathogenesis of ankylosing spondylitis – Reumatismo 2002 Jul-Sep;54(3):266-71
    9. Giltay EJ; van Schaardenburg D; Gooren LJ; Popp-Snijders C; Dijkmans BA – Androgens and ankylosing spondylitis: a role in the pathogenesis? – Ann N Y Acad Sci 1999 Jun 22;876:340-64; discussion 365
    10. M. Stone, D. Salonen, M. Lax, U. Payne, V. Lapp, and R. Inman – Clinical and imaging correlates of response to treatment with infliximab in patients with Ankylosing Spondylitis – J Rheumatol 2001;28:1605-14
    11. Braun J; Brandt J; Listing J; Zink A; Alten R; Burmester G; Golder W; Gromnica-Ihle E; Kellner H; Schneider M; Sorensen H; Zeidler H; Reddig J; Sieper J - Long-term efficacy and safety of infliximab in the treatment of ankylosing spondylitis: an open, observational, extension study of a three-month, randomized, placebo-controlled trial - Arthritis Rheum 2003 Aug;48(8):2224-33
    12. Braun J; Baraliakos X; Golder W; Brandt J; Rudwaleit M; Listing J; Bollow M; Sieper J; Van Der Heijde D - Magnetic resonance imaging examinations of the spine in patients with ankylosing spondylitis, before and after successful therapy with infliximab: evaluation of a new scoring system - Arthritis Rheum 2003 Apr;48(4):1126-36
    13. Braun J; Brandt J; Listing J; Zink A; Alten R; Golder W; Gromnica-Ihle E; Kellner H; Krause A; Schneider M; Sorensen H; Zeidler H; Thriene W; Sieper J - Treatment of active ankylosing spondylitis with infliximab: a randomised controlled multicentre trial - Lancet 2002 Apr 6;359(9313):1187-93
    14. Zou J; Rudwaleit M; Brandt J; Thiel A; Braun J; Sieper J - Down-regulation of the nonspecific and antigen-specific T cell cytokine response in ankylosing spondylitis during treatment with infliximab - Arthritis Rheum 2003 Mar;48(3):780-90
    15. Braun J; Brandt J; Listing J; Rudwaleit M; Sieper J - Biologic therapies in the spondyloarthritis: new opportunities, new challenger - Curr Opin Rheumatol 2003 Jul;15(4):394-407
    16. Nikas SN; Temekonidis TI; Zikou AK; Argyropoulou MI; Efremidis S; Drosos AA – Treatment of resistant rheumatoid arthritis by intra-articular infliximab injections: a pilot study – Ann Rheum Dis 2004;63:102-103


    Dr. Carlo Arrigo - Servizio di Reumatologia Spedali Civili Brescia


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    Edited by patroclotest - 7/10/2010, 20:43
     
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    LA SPONDILITE ANCHILOSANTE
    INTRODUZIONE La Spondilite Anchilosante (SA), con l’artrite reattiva, alcune forme di artrite psoriasica, le artriti associate a malattie infiammatorie intestinali (morbo di Crohn, rettocolite ulcerosa) e le spondiloartriti indifferenziate, fa parte del gruppo delle spondiloartropatie (SpA).
    Tra queste, è certamente la patologia maggiormente comune e con il decorso più severo. (1) La SA è una malattia reumatica infiammatoria sistemica che coinvolge prevalentemente le articolazioni spinali e sacroiliache. Tale condizione è responsabile di dolore lombare, rigidità, (Fig. 1) ma anche di notevole riduzione della capacità funzionale articolare con gravi conseguenze sugli aspetti socio-economici. (2) Il “management” della SA comporta una stretta educazione del paziente, e un programma di attività fisica regolare di concerto con l’utilizzo dei Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS).
    Una seconda linea di trattamento, specie (e non solo) nei casi in cui la malattia è particolarmente severa e refrattaria ai soli FANS, è rappresentata dalla SULFASALAZINA, che ha dimostrato, in parecchi “trials” clinici, essere efficace e ben tollerata in quei pazienti con (prevalente) artrite periferica. (2,4)
    Purtroppo la SA è una malattia che beneficia di poche opzioni terapeutiche, ed il paziente affetto dalle forme maggiormente invalidanti risulta di difficile gestione. (3)


    EPIDEMIOLOGIA

    Nel gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie, la SpA è la diagnosi più comune dopo l’artrite reumatoide. La sua prevalenza è stata a lungo sottostimata. La SA e le SpA indifferenziate (uSpA) sono i sottogruppi più comuni nei paesi occidentali.
    La SA ha un'incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile ed esordisce in genere in pazienti di età compresa tra i 20 e i 40 anni. È 10-20 volte più frequente in parenti di primo grado di pazienti con SA, rispetto alla popolazione generale e l'aumentata prevalenza dell'Ag tissutale HLA-B27 nei bianchi o dell'Ag HLA-B7 nei neri, suggerisce una predisposizione genetica, benché fattori ambientali possano svolgere un ruolo significativo. Si stima che il rischio potenziale di sviluppare la SA, per individui con HLA-B27 positivi, è di circa il 20%.


    ETIOPATOGENESI

    La patogenesi della SA è ancor oggi poco conosciuta, anche se i meccanismi della risposta immuno-mediata coinvolgenti l’antigene leucocitario umano (HLA)-B27, gli infiltrati cellulari infiammatori, le citochine ad attività pro-infiammatoria (TNF-a e IL-10) e i fattori genetici ed ambientali sembrerebbero avere un ruolo chiave. (5)
    Le ipotesi patogenetiche sono senza alcun dubbio in continua evoluzione; in particolare, le teorie immunologiche, che chiamano in causa una cross-reazione tra proteine “self” e peptidi batterici, alimentano sempre più il concetto secondo cui, batteri in fase di latenza, residenti in macrofagi e cellule dendritiche, andrebbero incontro a una riattivazione attraverso un processo facilitato e promosso dall’HLA-B27. In tale contesto, l’HLA, sarebbe soggetto a una sorta di sfaldamento, che determinerebbe una diminuzione delle capacità proprie di presentazione di peptidi batterici al sistema immune, stimolando così macrofagi e cellule dendritiche infette. La migrazione di queste cellule ai tessuti bersaglio della SA, specie nel midollo localizzato vicino le entesi, potrebbe facilitare la riattivazione di batteri (dominanti) intracellulari creando un favorevole ambiente citochinico. Tale ambiente, potrebbe includere alti livelli di TGF-beta e IL-10, presenti anche in altri siti cosiddetti bersaglio e, quindi, privilegiati dalla risposta del sistema immune come ad esempio l’occhio (segmento anteriore). La riattivazione, teoricamente, potrebbe essere bloccata da una risposta locale da parte dei CD4+ e/o CD8+ (cellule T) all’infiammazione (in loco) responsabile delle manifestazioni cliniche. Miglioramenti nella comprensione dei meccanismi che conferiscono ad alcuni ceppi batterici una potenziale forza per la persistenza all’interno di cellule, includenti i macrofagi, potrebbero aprire la via a nuovi e maggiormente efficaci approcci terapeutici. (6)
    L’HLA-B27 è certamente importante e significativo in quanto presente in circa il 90% dei pazienti affetti da SA; ma come questo marker genetico conferisca la malattia o la suscettibilità allo sviluppo è ancora assai poco conosciuto. Studi recenti su famiglie e gemelli affetti da SA hanno mostrato che geni addizionali non-HLA-B27 sono necessari per lo sviluppo della malattia. In tale apparente controversia si inserisce il ruolo di agenti esogeni inizianti il processo infiammatorio cronico che non sono stati chiaramente identificati, anche se klebsiella pneumoniae rimane una dei forti candidati; il microrganismo potrebbe agire attraverso il canale intestinale, specie in quei pazienti che mostrano interessamento enterico di tipo infiammatorio. (7)
    Assai recentemente, in considerazione della frequenza e della severità della malattia che è preponderante nel sesso maschile, è stato implicato nell’etiologia della SA il ruolo degli steroidi androgeni. 9 In conclusione, si può affermare senza grandi difficoltà, come la SA sia caratterizzata dalla più forte associazione con un antigene dell’HLA mai descritta per alcuna patologia; essa rappresenta, pertanto, il modello ideale per la comprensione dei legami tra le malattie immuno-mediate ed il sistema HLA. (8)


    CLINICA

    Il sintomo d'esordio più frequente è la lombàgo, sebbene la malattia possa iniziare in modo atipico con un interessamento delle articolazioni periferiche, particolarmente nei bambini e nelle donne; raramente esordisce con una irite acuta (uveite anteriore). Altro sintomo iniziale, ma meno comune, potrebbe essere la diminuzione dell'espansibilità toracica, risultante dall'interessamento diffuso delle strutture costo-vertebrali e/o costo-sternali; sintomi aspecifici come febbricola e astenia, e assai più rari come anoressia, perdita di peso e anemia, generalmente ipocromica-microcitica (presente in forme evolute, tipicamente associata a malattie croniche infiammatorie) rappresentano altre manifestazioni non comuni.
    I criteri diagnostici per la spondilite anchilosante risalgono al 1984, ovvero i criteri di New York modificati. (Tabella 1)
    La lombàgo, più spesso notturna e di varia intensità in ragione dell’aggressività della malattia, insieme con la rigidità mattutina che in modo caratteristico si allevia con il movimento, sono sintomi presenti nella quasi totalità della SA, o perlomeno, nelle forme sicuramente più aggressive. Il mantenimento di una postura in flessione o inclinata in avanti migliora la lombalgia e lo spasmo dei muscoli paraspinali, pertanto, è comune una cifosi di vario grado.

    Tabella 1: Criteri diagnostici di “New York modificati” per la Spondilite Anchilosante
    1. Dolore lombare che migliora con il movimento e non scompare al riposo
    2. Riduzione della mobilità lombare sul piano sagittale e frontale
    3. Riduzione della espansibilità polmonare in rapporto al sesso e alla età
    4. Sacroileite bilaterale di grado 2-4
    5. Sacroileite monolaterale di grado 3-4
    Diagnosi definita se: sacroileite monolaterale di grado 3-4, o sacroileite bilaterale di grado 2-4 associata ad un qualunque criterio clinico

    In circa 1/3 dei pazienti sono riscontrabili manifestazioni sistemiche che variano da ricorrenti episodi di irite acuta, abitualmente autolimitantesi (uveite anteriore) raramente tanto gravi da danneggiare la vista, a segni neurologici come radicoliti o sciatalgie da compressione, fratture o sublussazioni vertebrali, la sindrome della “cauda equina” (impotenza funzionale, incontinenza urinaria notturna, diminuzione dello stimolo alla minzione e alla defecazione, assenza dei riflessi achillei).
    Assai meno comuni le manifestazioni cardiovascolari tra cui l’insufficienza aortica, rari episodi di angina, pericardite e anomalie di conduzione all'ECG. L'interessamento polmonare è molto raro (fibrosi del lobo superiore).
    La SA è caratterizzata da accessi di spondilite, di lieve o moderata intensità, alternati a periodi silenti.
    In questi pazienti, è di fondamentale importanza la valutazione clinico-strumentale della malattia attraverso la definizione degli “outcomes” per la SA. (Tabella 2)

    Tabella 2: Definizione degli “outcomes” per la Spondilite Anchilosante
    ATTIVITÀ DI MALATTIA BASDAI, VAS dolore
    FUNZIONE FISICA BASFI, BASMI, DFI, HAQ-S
    STATO DI SALUTE GLOBALE BAS-G
    “OUTCOMES” RADIOLOGICI BASRI SASS

    Il BASDAI (Back Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index) combina la stima della mobilità spinale e della funzionalità articolare delle sacroiliache; esso consta dei seguenti “items”:
    ß Distanza trago-parete;
    ß Flessione lombare (Schober’s test);
    ß Rotazione cervicale;
    ß Flessione spinale laterale;
    ß Distanza intermalleolare.
    Secondo gli strumenti ASAS per la valutazione della malattia (Van der Heijde D. et al. AnnRheumDisease2002;61(Suppl.3):24-32) è possibile distinguere tra domini e strumenti per la valutazione degli stessi. (Tabella 3)

    Tabella 3: Domini e Strumenti ASAS
    Funzione fisica BASFI, Dougados Functional Index
    Dolore VAS ultima settimana (spinale) la notte VAS spinale (no restrizioni)
    Mobilità Spinale Espansione toracica (cm), Schober modificato, distanza occipite-parete
    Stato di salute globale del paziente VAS: ultima settimana
    Rigidità Durata al mattino (min), rachide ultima settimana
    Articolazioni periferiche/entesiti N° di articolazioni tumefatte
    Reattanti della fase acuta (VES)
    Rx del rachide AP e lombare laterale
    Rx del bacino AP e lombare laterale
    Fatica


    Il test di Schober consiste nell’identificare un punto che si trova equidistante in una linea immaginaria che unisce le spine iliache postero-superiori mentre il paziente è in posizione ortostatica, segnare un ulteriore punto 10 cm superiormente al precedente e chiedere al paziente di flettersi in avanti al massimo delle sue possibilità. Con il rachide in massima flessione, misurare la distanza tra i due punti. La distanza normale è ≥15 cm.

    RADIOLOGIA

    Tipiche sono le alterazioni radiologiche, specie, in fase avanzata della malattia che comprendono quadri di sacroileite mono o bilaterale, erosioni e sclerosi ossea reattiva (opacità dell’osso subcondrale) che risulta generalmente più evidente sul versante iliaco dell’articolazione. Tipiche dello scheletro assile sono le alterazioni determinate dalla flogosi degli strati superficiali dell’anulus fibrosus, nelle sedi di inserzione ai margini dei corpi vertebrali con induzione di una sclerosi ossea reattiva (“angoli splendenti”) ed il conseguente riassorbimento osseo (erosioni). Al termine di questo processo il corpo vertebrale tende ad assumere l’aspetto della vertebra “squadrata” (radiogrammi in proiezione latero-laterale); pertanto si assiste alla graduale formazione di “ponti” ossei intervertebrali chiamati sindesmofiti. Alterazioni di tipo infiammatorio coinvolgono spesso anche le articolazioni interapofisarie che a loro volta vanno incontro ad anchilosi; il tutto può essere complicato dalla ossificazione dei legamenti interspinosi. Nel loro complesso, queste modificazioni, sono responsabili dell’anchilosi completa della colonna (“colonna a canna di bamboo”) che si manifesta soprattutto in pazienti con spondilite di lunga durata (7-10 aa) ed in stretta dipendenza all’aggressività della malattia stessa. L’osteoporosi della colonna, sebbene compaia più frequentemente in pazienti malati da lungo tempo, si può anche sviluppare nelle fasi precoci.

    TERAPIA

    Fondamentalmente la terapia della spondilite anchilosante si fonda sull’utilizzo di Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei (FANS). Tra i più efficaci e maggiormente utilizzati l’INDOMETACINA, il DICLOFENAC, l’IBUPROFENE, il KETOPROFENE, il NAPROSSENE.
    Le molecole appartenenti a questa grande famiglia di farmaci sono ragionevolmente tutte utilizzabili, a dosaggi variabili, nel tentativo di conservare un accettabile rapporto tra efficacia e i potenziali (e/o reali) effetti tossici.
    Negli ultimi anni, molte segnalazioni di beneficio clinico, perlomeno per le forme associate ad artrite periferica (o prevalente), sono pervenute riguardo la SULFASALAZINA, vecchio salicilato utilizzato un tempo per le malattie infiammatorie dell’intestino (oggi è preferita la mesalazina, figlia legittima). (2, 4)
    La dose iniziale è una compressa/die (500 mg), preferibilmente a stomaco pieno, per una settimana, aumentando di una cpr ogni 7 giorni fino ad una dose di mantenimento che può variare da 1-2 gr (2-4 cpr) di SULFASALAZINA/die, in ragione della risposta del paziente (efficacia/tossicità); 1 alcuni clinici preferiscono, in casi particolarmente resistenti, aumentare il dosaggio fino a 2-3 gr/die (4-6 cpr), magari in associazione con un FANS, e comunque, tale scelta associativa, è generalmente una costante per la terapia della SA. Per tale ultima ragione, è consigliabile prevenire eventuali gastropatie attraverso la contemporanea somministrazione di gastroprotettori (misoprostolo, anti-acidi, inibitori di pompa, etc..); è altresì consigliabile, controllare periodicamente la crasi ematica almeno nei primi due mesi di terapia con SULFASALAZINA.
    Altri farmaci di fondo (DMARD’s) come METHOTREXATE, AURANOFIN, IDROSSICLOROCHINA, AZATIOPRINA, LEFLUNOMIDE e CICLOSPORINA sono da sconsigliare in quanto non esistono studi sulla loro comprovata efficacia.
    Gli steroidi sono sicuramente un capitolo controverso; vi sono rare circostanze in cui un loro impiego (topico) nella SA potrebbe essere giustificato, ma in linea generale, sono sicuramente da sconsigliare per la ridotta efficacia rispetto ai FANS e gli effetti collaterali non indifferenti, specie sul metabolismo osseo.
    Di recente una nuova terapia per la SA ha drasticamente trovato grande spazio, perlomeno per le forme severe, molto aggressive, e quindi refrattarie alle poche armi terapeutiche fino ad oggi a disposizione.
    Un anticorpo monoclonale anti-TNFa, INFLIXIMAB (REMICADE – SCHERING PLOUGH”), molecola nata come terapia per il morbo di Crohn (MC), è estremamente efficace e ben tollerata anche nell’artrite reumatoide (AR); in commercio in Italia dalla fine del 2000 con l’indicazione per entrambe le patologie, ed utilizzata in vari trials clinici per altre patologie dove il TNFa, citochina ad attività pro-infiammatoria, è stato dimostrato avere un ruolo pilota e centrale in quella che è la cosiddetta cascata infiammatoria, del tutto recentemente, sempre più numerose evidenze cliniche, hanno portato all’utilizzo di INFLIXIMAB nel trattamento della SA. (1, 10)
    Dal 2003, tra le indicazioni all’uso del farmaco è presente anche la SA, insieme con il MC e l’AR.
    INFLIXIMAB (farmaco in fascia H) è esclusivamente somministrabile in ambiente ospedaliero, solo presso presidi con autorizzazione ministeriale (Reumatologia e/o Immunologia autorizzati). La via di somministrazione è esclusivamente infusionale (endovenosa), anche se evidenze cliniche recentissime, riportano successi nella terapia infiltrativa di INFLIXIMAB (100 mg/iniezione intrarticolare da ripetere dopo 24h) in pazienti affetti da AR con mono-oligoartrite resistente ai tradizionali trattamenti. 16 I protocolli di somministrazione sono sostanzialmente due con efficacia sostanzialmente sovrapponibile; (11, 12) una prima scelta è riconducibile alle esperienze con i tempi di somministrazione per l’artrite reumatoide, ovvero la prima somministrazione a tempo 0 poi 2^, 6^ settimana (fase induttiva) ed ogni 2 mesi (mantenimento). In ragione della risposta individuale del paziente è possibile ridurre (più frequentemente) fino a 45-50 gg o aumentare (non si hanno precise evidenze in tal senso) l’intervallo di somministrazione tra due dosi di INFLIXIMAB (periodo di mantenimento). (12) Altra tipologia di somministrazione per la SA secondo i trials clinici risulta una infusione ogni 6 settimane. (11)
    Per l’utilizzo di INFLIXIMAB sono aperte delle riflessioni che nascono dalle evidenze cliniche e dalle conoscenze scientifiche. In primis ci si chiede, come peraltro per i tradizionali DMARD’s, per quanto tempo bisogna continuare la terapia con questa molecola che nasce con mire di grande immunosoppressione (certamente superiore alle terapie convenzionali), ma che dal suo utilizzo sembrerebbe avere, ancor prima, una potentissima azione anti-infiammatoria (confermata anche e soprattutto dall’azione diretta, volta al blocco del TNFa); seconda riflessione, ma non per importanza inferiore, quale siano gli effetti a lungo termine di questo farmaco con attività diretta anti-TNFa citochina certamente ad azione pro-infiammatoria, ma con azioni fisiologiche notevolmente importanti a carico di organi ed apparati (fattore di necrosi tumorale, attività protettiva nei confronti delle ischemie, specie miocardiche, quindi interattività con l’azione del nitrossido endogeno, etc..).
    Del tutto recentemente, si è prospettato l’utilizzo nella SA anche di un altro farmaco con azione anti-TNFa, ETANERCEPT (ENBREL – WYETH LEDERLE”), con diverse modalità di somministrazione per via, dose e intervallo (sottocutanea, 25mg due volte la settimana; presto anche una nuova formulazione di 50mg in un'unica somministrazione settimanale) e con efficacia assolutamente sovrapponibile ad INFLIXIMAB per quel che riguarda l’artrite reumatoide, ma a differenza di quest’ultimo, in attesa dell’autorizzazione ministeriale per l’inserimento tra le indicazioni ufficiali, il trattamento della spondilite anchilosante (probabilmente entro i primi mesi del 2004).

    NOTE BIBLIOGRAFICHE
    1. J. Sieper, J Braun – New treatment options in ankylosing spondylitis: a role for anti-TNFa therapy – Ann Rheum Dis 2001;60:58-61
    2. E. Toussirot, D. Wendling – Therapeutic advances in ankylosing spondylitis – Exp. Opin. Invest. Drugs (2001)10(1):21-29
    3. M. Breban, E. Mignon, P. Claudepierre et al – Efficacy of infliximab in refractory ankylosing spondylitis: results of a six-month open-label study – Rheumatology 2002;41:1280-1285
    4. M. Stone, D. Salonen, M. Lax, U. Payne, V. Lapp, and R. Inman – Clinical and imaging correlates of response to treatment with infliximab in patients with Ankylosing Spondylitis – J Rheumatol 2001;28:1605-14
    5. Sieper J; Braun J; Rudwaleit M; Boonen A; Zink A – Ankylosing spondylitis: an overview - Ann Rheum Dis 2002 Dec;61 Suppl 3:1108-18
    6. Berthelot JM; Glemarec J; Guillot P; Laborie Y; Maugars Y – New pathogenic hypotheses for spondyloarthropathies – Joint Bone Spine 2002 Mar;69(2):114-22
    7. Gran JT – Pathogenesis of Bechterew disease – Tidsskr Nor Laegeforen 1998 Nov 30;118(29):4537-40
    8. Cauli A; Dessole G; Nurchis PP; Vacca A; Mameli A; Garau P; Pala R; Passiu G; Mathieu A – The role of HLA-B27 molecules in the pathogenesis of ankylosing spondylitis – Reumatismo 2002 Jul-Sep;54(3):266-71
    9. Giltay EJ; van Schaardenburg D; Gooren LJ; Popp-Snijders C; Dijkmans BA – Androgens and ankylosing spondylitis: a role in the pathogenesis? – Ann N Y Acad Sci 1999 Jun 22;876:340-64; discussion 365
    10. M. Stone, D. Salonen, M. Lax, U. Payne, V. Lapp, and R. Inman – Clinical and imaging correlates of response to treatment with infliximab in patients with Ankylosing Spondylitis – J Rheumatol 2001;28:1605-14
    11. Braun J; Brandt J; Listing J; Zink A; Alten R; Burmester G; Golder W; Gromnica-Ihle E; Kellner H; Schneider M; Sorensen H; Zeidler H; Reddig J; Sieper J - Long-term efficacy and safety of infliximab in the treatment of ankylosing spondylitis: an open, observational, extension study of a three-month, randomized, placebo-controlled trial - Arthritis Rheum 2003 Aug;48(8):2224-33
    12. Braun J; Baraliakos X; Golder W; Brandt J; Rudwaleit M; Listing J; Bollow M; Sieper J; Van Der Heijde D - Magnetic resonance imaging examinations of the spine in patients with ankylosing spondylitis, before and after successful therapy with infliximab: evaluation of a new scoring system - Arthritis Rheum 2003 Apr;48(4):1126-36
    13. Braun J; Brandt J; Listing J; Zink A; Alten R; Golder W; Gromnica-Ihle E; Kellner H; Krause A; Schneider M; Sorensen H; Zeidler H; Thriene W; Sieper J - Treatment of active ankylosing spondylitis with infliximab: a randomised controlled multicentre trial - Lancet 2002 Apr 6;359(9313):1187-93
    14. Zou J; Rudwaleit M; Brandt J; Thiel A; Braun J; Sieper J - Down-regulation of the nonspecific and antigen-specific T cell cytokine response in ankylosing spondylitis during treatment with infliximab - Arthritis Rheum 2003 Mar;48(3):780-90
    15. Braun J; Brandt J; Listing J; Rudwaleit M; Sieper J - Biologic therapies in the spondyloarthritis: new opportunities, new challenger - Curr Opin Rheumatol 2003 Jul;15(4):394-407
    16. Nikas SN; Temekonidis TI; Zikou AK; Argyropoulou MI; Efremidis S; Drosos AA – Treatment of resistant rheumatoid arthritis by intra-articular infliximab injections: a pilot study – Ann Rheum Dis 2004;63:102-103


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    Dr. Carlo Arrigo - Servizio di Reumatologia Spedali Civili Brescia

    FONTE
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    Edited by patroclotest - 21/9/2010, 17:02
     
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  3. alfonso1953
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    La Spondilite Anchilosante (SpA) è tra le spondiloartriti la patologia più comune e con il decorso più severo. La SA è una malattia reumatica infiammatoria cronica che coinvolge prevalentemente il rachide e le articolazioni sacroiliache. Tale condizione è responsabile di dolore lombare, rigidità e progressiva riduzione della capacità funzionale del rachide con gravi conseguenze sugli aspetti socio-economici (1). Nel gruppo delle malattie reumatiche infiammatorie, la SpA è la diagnosi più comune dopo l’Artrite Reumatoide. La sua prevalenza è stata a lungo sottostimata. La SA e le Spondiloartriti Indifferenziate (SA) sono i sottogruppi più comuni nei paesi occidentali, con una prevalenza compresa tra 0.2 e 1.2 % (2). La SA ha un'incidenza 3 volte maggiore nel sesso maschile ed esordisce in genere in soggetti giovani con età compresa tra i 20 e i 40 anni. È 10-20 volte più frequente in parenti di primo grado di pazienti con SA, rispetto alla popolazione generale e l'aumentata prevalenza dell'antigene tissutale HLA-B27 nei bianchi o HLA-B7 nei neri, suggerisce una predisposizione genetica, benché fattori ambientali possano svolgere un ruolo determinante nell’esordio. Si stima che il rischio potenziale di sviluppare la SA, per individui con HLA-B27 positivi, è di circa il 20%. E’ la patologia umana con la più forte associazione mai descritta con un antigene HLA: esso è rilevabile il oltre il 90% dei pazienti portatori di SpA. QUADRO CLINICO
    Il sintomo d'esordio più frequente è la lombalgia (mal di schiena), prevalentemente notturna durante il riposo, che migliora con il movimento, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Il paziente descrive il dolore lombare come “fastidio”, “peso”, “fasciatura”, “senso di costrizione” di intensità variabile e mal localizzato. Raramente il dolore è “acuto” o “trafittivo”. Nella maggior parte dei casi il dolore è irradiato alla natica e comunque in una vasta zona del bacino. Esso è espressione di un processo flogistico che, a partenza dall’osso sub-periosteo, si estende alle entesi e ai punti di ancoraggio delle strutture ligamentose delle sacro-iliache e dei corpi vertebrali. Il sonno è spesso disturbato dal dolore e il paziente è costretto ad alzarsi e a compiere movimenti di estensione e flessione del rachide. Talvolta con il movimento ottiene una tale riduzione del sintomo che il sonno può essere ripristinato. Il miglioramento del dolore con il movimento è un elemento distintivo rispetto alle forme degenerative del rachide e dalle discopatie, dove viceversa il movimento e lo sforzo possono rappresentare elementi scatenanti o peggiorativi del dolore. La scarsa intensità del dolore, la difficoltà ad una traduzione verbale univoca del sintomo e della sede, i frequenti periodi di spontaneo miglioramento che sono possibili all’esordio e la sottovalutazione del sintomo per la sua grande prevalenza nella popolazione generale, sono i principali responsabili della diagnosi tardiva della Spondilite Anchilosante.
    Nelle fasi più evolute della SA la persistenza del processo flogistico si estende a tratti sempre più estesi della colonna e si instaurano calcificazione e ossificazione delle strutture ligamentose e delle entesi con conseguente irreversibile danno della anatomia del rachide. Oltre al dolore si verifica quindi una progressiva alterazione della postura del rachide che diviene ipomobile su tutti i piani con riduzione della escursione in flessione, estensione, torsione e lateralità. La limitazione di questi movimenti viene misurata con opportuni tests dal reumatologo e dal fisiatra a scopo diagnostico e per valutarne le modificazioni durante la terapia medica e riabilitativa. Il mantenimento di una postura in flessio e o inclinata in avanti migliora la lombalgia e lo spasmo dei muscoli paraspinali, pertanto, è comune una cifosi di vario grado. Il paziente viene ad assumere un caratteristico atteggiamento posturale, a seconda del grado di coinvolgimento della colonna. Caratteristiche sono, nel coinvolgimento cervicale, la lateralità dello sguardo e la rotazione di spalle e tronco quando il paziente si deve volgere indietro, a suggerire la scarsa capacità di estensione e torsione del collo, o la iperflessione dell’anca a rachide immobile nel tentativo di cogliere un oggetto da terra. Spiccano la rettilineizzazione del rachide lombare e cervicale con cifosi dorsale (figura 1).
    Nei casi in cui si verifica un interessamento diffuso delle strutture costo-vertebrali e/o costo-sternali si può ridurre l’espansibilità toracica con conseguente dispnea e ridotta adattabilità respiratoria allo sforzo.
    Nelle fasi molto evolute di SA si possono manifestare complicazioni neurologiche come radicoliti o sciatalgie da compressione, fratture o sublussazioni vertebrali, la sindrome della “cauda equina” (impotenza funzionale, incontinenza urinaria notturna, diminuzione dello stimolo alla minzione e alla defecazione, assenza dei riflessi achillei).
    Oltre al coinvolgimento assiale possono essere manifeste, fin dall’esordio, particolarmente nei bambini e nelle donne, localizzazioni flogistiche periferiche delle strutture articolari o periarticolari. In una minor parte dei casi il coinvolgimento artritico periferico può manifestarsi clinicamente in anticipo rispetto all’impegno assiale. Sebbene in misura minore rispetto alle altre spondiloartriti sieronegative può essere rilevata una mono-oligo-artrite asimmetrica che in genere coinvolge grandi articolazioni, come il ginocchio o la tibio-tarsica. Caratteristicamente si tratta di una tenosinovite ove spicca il coinvolgimento flogistico della entesi e del tendine. La “tallonite” con tendinite dell’achilleo è di frequente riscontro ed è rilevabile clinicamente e con ecografia. La tendenza alla ossificazione dei punti di inserzione tendinea, osservabile con tradizionale radiologia, può contribuire all’orientamento diagnostico.
    In circa 1/3 dei pazienti sono riscontrabili manifestazioni sistemiche che variano da ricorrenti episodi di irite acuta, abitualmente autolimitantesi (uveite anteriore) e raramente tanto gravi da danneggiare la vista, a sintomi aspecifici come febbricola e astenia, perdita di peso e anemia, generalmente ipocromica-microcitica secondaria alla flogosi cronica.
    Raramente l’uveite anteriore può precedere i sintomi articolari o essere già manifesta all’esordio.
    Assai meno comuni le manifestazioni cardiovascolari tra cui l’insufficienza aortica, rari episodi di angina, pericardite e anomalie di conduzione all'ECG. L'interessamento polmonare è molto raro (fibrosi del lobo superiore).
    DIAGNOSI
    La diagnosi di una forma conclamata di SA in fase flogistica e che abbia già determinato le tipiche alterazioni morfologiche sacroileitiche e del rachide non è difficoltosa. Le caratteristiche del dolore, la tipica postura del paziente, la presenza dell’antigene HLA B27 e l’incremento degli indici di flogosi, quali la Velocità di Eritro Sedimentazione (VES) e la Proteina C Reattiva (PCR), accanto alla dimostrazione radiologica dei tipici sindesmofiti simmetrici e della calcificazione del ligamento longitudinale anteriore, rendono univoca la diagnosi. Tuttavia in questa fase di malattia il danno anatomico instauratisi è irreversibile e la disabilità conseguente solo parzialmente recuperabile.
    Il problema fondamentale della Spondilite Anchilosante è rappresentato dalla diagnosi tardiva che, non sempre, è imputabile a imperizia o trascuratezza del medico. Al fine di perseguire la diagnosi precoce si rende necessario realizzare un patto di comportamento che, a partire dal paziente, coinvolga il medico di medicina generale e tutte le altre figure assistenziali cui il malato riferisce i primi sintomi. Questa malattia va portata, al pari di altre condizioni reumatiche, ad essere conosciuta, almeno nella sua esistenza perché possa essere sospettata all’emergenza. Va superato il concetto comune che il “mal di schiena” sia sempre una condizione benigna e transitoria che molte persone hanno sperimentato almeno una volta nella vita. Inoltre, soprattutto in questa malattia, deve essere scoraggiata la pratica dell’automedicazione da parte del malato. Infatti la notevole efficacia dei FANS sui sintomi iniziali della SA, può tradursi nel rinvio da parte del paziente del riferimento dei sintomi al proprio medico.
    Una buona pratica clinica suggerirebbe di avvalorare i segni clinici dolore persistente, anche se episodico, del rachide, del bacino posteriore e dei talloni, avviando un percorso che passi dalla valorizzazione dell’anamnesi (familiarità o presenza di psoriasi, caratteristiche dell’alvo, concomitanza di infezioni, dolore a riposo, miglioramento con il movimento) alla esecuzione di semplici ed economici esami di laboratorio e strumentali. Il livello di allerta dovrebbe essere maggiore nei soggetti più giovani ove questi sintomi difficilmente sono ascrivibili con elevata probabilità alle più frequenti patologie degenerative del rachide. Nei soggetti con meno di 40 anni che lamentano rachialgia ricorrente o tendinite recidivante è facilmente ed economicamente ricercabile la presenza di indici laboratoristici di infiammazione (VES e PCR). Al sospetto diagnostico dovrebbe conseguire il riferimento al reumatologo che provvederà alla accurata rilevazione del grado di coinvolgimento del rachide e delle articolazioni periferiche, procedendo inoltre alla diagnosi differenziale. La ricerca del fenotipo HLA B27 e le indagini strumentali radiologiche, per la conferma diagnostica, rappresentano il secondo livello specialistico dell’approccio diagnostico.
    La radiologia si conferma importante nella determinazione della diagnosi della SpA.
    Le alterazioni radiologiche, specie in fase avanzata della malattia, sono tipiche e comprendono quadri di sacroileite mono o bilaterale, erosioni e sclerosi ossea reattiva (opacità dell’osso subcondrale) che risulta generalmente più evidente sul versante iliaco dell’articolazione. Caratteristiche dello scheletro assiale sono le alterazioni determinate dalla flogosi degli strati superficiali dell’anulus fibrosus, nelle sedi di inserzione ai margini dei corpi vertebrali con induzione di una sclerosi ossea reattiva (“angoli splendenti”) ed il conseguente riassorbimento osseo (erosioni). Al termine di questo processo il corpo vertebrale tende ad assumere l’aspetto della vertebra “squadrata” (radiogrammi in proiezione latero-laterale); pertanto si assiste alla graduale formazione di “ponti” ossei intervertebrali chiamati sindesmofiti. Alterazioni di tipo infiammatorio coinvolgono spesso anche le articolazioni interapofisarie che a loro volta vanno incontro ad anchilosi; il tutto può essere complicato dalla ossificazione dei legamenti interspinosi. Nel loro complesso, queste modificazioni, sono responsabili dell’anchilosi completa della colonna (“colonna a canna di bamboo”) che si manifesta soprattutto in pazienti con spondilite di lunga durata (oltre 7 anni) ed in stretta dipendenza all’aggressività della malattia stessa. L’osteoporosi della colonna, sebbene compaia più frequentemente in pazienti malati da lungo tempo, si può anche sviluppare nelle fasi precoci.
    Il coinvolgimento flogistico delle articolazioni costo-vertebrali può determinare una riduzione della mobilità della gabbia toracica con deficit restrittivo della meccanica respiratoria, documentabile con prove spirometriche di funzione respiratoria.
    La sacroileite, spesso bilaterale, è la localizzazione flogistica che compare nelle fasi più precoci di malattia. Con la radiologia convenzionale una sacroileite iniziale non è riconoscibile. La Risonanza Magnetica si è dimostrata superiore, nelle fasi iniziali di sacroileite, nell’evidenziare il tipico edema dell’osso subcondrale, ad avvalorare il sospetto clinico del dolore tipicamente irradiato alla natica e al dolore acuto evocato dalla pressione sulle rime articolari.
    Posta la diagnosi di SpA lo studio, mediante ecografia, del cuore può dimostrare le alterazioni dell’anulus della valvola aortica.
    Terapia
    La costante esecuzione di un corretto esercizio fisico e l’impiego di Farmaci Anti-infiammatori Non Steroidei (FANS) rappresentano l’approccio più corretto alla gestione del malato con SpA (4). Gli esercizi fisici, impartiti mediante programmi educazionali da esperti fisioterapisti, devono essere eseguiti dal paziente quotidianamente al proprio domicilio.
    L’indometacina, il diclofenac, l’ibuprofene, il ketoprofene, il naprossene e gli inibitori selettivi della COX-2 sono, tra i FANS, i più efficaci e maggiormente utilizzati. Le molecole appartenenti a questa grande famiglia di farmaci sono ragionevolmente tutte utilizzabili, a dosaggi variabili, nel tentativo di conservare un accettabile rapporto tra efficacia e i potenziali (e/o reali) effetti tossici.
    L’impiego dei corticosteroidi e dei farmaci anti-reumatici (DMARDs), quali la Sulfasalazina, il Methotrexate e la Leflunomide, vengono impiegati nelle forme maggiormente aggressive ed evolutive, con importante componente flogistica, nonostante molti studi controllati non ne abbiano dimostrato la capacità di interferire con l’evoluzione del danno spondilitico, a differenza di quanto osservato nella AR. I DMARDs sono maggiormente attivi nelle forme di SpA con coinvolgimento artritico periferico.
    La terapia della SpA si è recentemente arricchita di nuovi farmaci che si stanno dimostrando in grado di sopprimere la flogosi e prevenire l’evoluzione del danno articolare. La prima di queste molecole, sintetizzate mediante tecniche di biotecnologia genetica, è Infliximab, un anticorpo monoclonale chimerico (uomo/topo) che lega selettivamente il TNFalfa solubile rendendolo inattivo. Vi sono evidenze che l’impiego di Infliximab nelle fasi iniziali del processo spondilitico, come la sacroileite dimostrata in RM, può determinare una reversione dell’edema osseo subcondrale, a testimonianza di una regressione del danno flogistico (3). Oltre a Infliximab sono oggi disponibili altri farmaci biologici anti TNFalfa: Etanercept che è il recettore antagonista del TNFalfa e beta, e Adalimumab, altro anticorpo monoclonale. Anche per queste nuove molecole vi sono forti evidenze sulla loro efficacia nella SpA aggressiva.
    I più frequenti effetti collaterali, attribuiti a queste molecole, sono: infezioni delle mucose del tratto respiratorio e urinario; infezioni cutanee; reazioni nel sito di iniezione sottocute per Etanercept e Adalimumab; reazioni infusionali (rash, tachicardia, shock) per Infliximab. Particolarmente temibile la infezione tubercolare in soggetti con infezione latente. Per questo motivo i centri di riferimento, dispensatori di questi farmaci, applicano precise linee-guida per la individuazione di possibile infezione tubercolare pregressa o in atto. A tutti i soggetti con indicazione alla terapia con farmaci biologici anti TNFalfa deve essere indagata una anamnestica infezione tubercolare e devono essere sottoposti a radiografia del torace e intradermoreazione di Mantoux. I pazienti che risultino a rischio di riattivazione di TBC latente vengono sottoposti terapia di eradicazione anti-tubercolare per nove mesi, se si sintende iniziare la terapia con anti-TNFalfa.
    I farmaci biologici anti TNFalfa devono essere evitati in soggetti con linfomi e pregresse neoplasie e nei pazienti con scompenso cardiaco che potrebbe risultarne aggravato.
    Il loro costo ne rende giustificato l’impiego solo nei casi più gravi e resistenti alle terapie convenzionali e la loro dispensazione avviene solo su indicazione specialistica da parte di centri di riferimento. La mancata conoscenza di possibili effetti collaterali a lungo termine, la sorveglianza in atto sulla possibile induzione di neoplasie (linfomi) e il notevole grado di immunodepressione che questi determinano, con possibili frequenti infezioni, giustificano il loro impiego mirato su casi selezionati.
    Bibliografia
    1. Sieper J; Braun J; Rudwaleit M; Boonen A; Zink A – Ankylosing spondylitis: an overview - Ann Rheum Dis 2002 Dec;61 Suppl 3:1108-18
    2. Braun J, Bollow M, Remlinger G, Eggens U, Rudwaleit M, Distler A, et al. Prevalence of spondylarthropathies in HLA–B27 positive and negative blood donors. Arthritis Rheum 1998;41:58–67.
    3. Braun J; Baraliakos X; Golder W; Brandt J; Rudwaleit M; Listing J; Bollow M; Sieper J; Van Der Heijde D - Magnetic resonance imaging examinations of the spine in patients with ankylosing spondylitis, before and after successful therapy with infliximab: evaluation of a new scoring system - Arthritis Rheum 2003 Apr;48(4):1126-36
    4. Dougados M, Dijkmans B, Khan M, Maksymowych W, van der Linden S, Brandt J. Conventional treatments for ankylosing spondylitis. Ann Rheum Dis 2002;61 Suppl 3:iii40–50.



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    Edited by patroclotest - 7/10/2010, 20:44
     
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