PAZIENTI TROMBOFILICI LINEE GUIDA PER LO SCREENING

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  1. alfonso1953
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    LINEE GUIDA PER LO SCREENING PAZIENTI TROMBOFILICI LINEE GUIDA PER LO SCREENING PAZIENTI TROMBOFILICI INTRODUZIONE: La trombosi è un fenomeno multifattoriale dalla patogenesi complessa. È, pertanto, difficile individuare in modo semplice eschematico le cause che la determinano. In queste linee guidasaranno discussi i fattori di rischio più comuni di trombosivenosa ed arteriosa e i test di laboratorio utili per lo studio delpaziente trombofilico.Pur non potento separare nettamente la trombosi arteriosa daquella venosa, alcune evidenze fanno ritenere che la loropatogenesi sia diversa. Sulla base di tali considerazioni ègiustificato un diverso approccio per lo studio di laboratorio.TROMBOSI VENOSA La migliore comprensione dei meccanismi di regolazionedell'emostasi e le indagini di laboratorio eseguite su migliaia dipazienti trombofilici, hanno consentito di stabilire la relazione fraparametri emostatici e trombosi venosa (1, 2). I deficitcongeniti dei meccanismi degli anticoagulanti naturalipredispongono il soggetto portatore ad un aumentato rischio ditrombosi venosa. L'iperprotrombinemia sostenuta da unamutazione nel gene della protrombina è associata adaumentato rischio trombotico. Un altro fattore di rischio acquisitoper trombosi venosa (ma anche arteriosa) è la presenza dianticorpi antifosfolipidi. L'iperomocisteinemia moderata, in passatonota come fattore di rischio di trombosi arteriosa è oggiriconosciuta anche come fattore di rischio di trombosi venosa. La ricerca mirata dei soli deficit congeniti dei sistemi deglianticoagulanti naturali su soggetti con precedente storiatrombotica, particolarmente se in età giovanile (meno di 50 anni)e dopo esclusione dei fattori di rischio acquisiti di più comuneevenienza (ad es. neoplasie), potrebbe spiegare la causa dellatrombosi in più della metà dei soggetti. Lo screening esteso aimembri della famiglia del probando, potrebbe inoltre, identificarequei soggetti ancora asintomatici, ma portatori del difetto, chepiù di altri potrebbero giovarsi delle misure profilattiche insituazioni arischio (interventi chirurgici, gravidanze,contraccettivi orali, ecc.). È, quindi, del tutto evidente come unastrategia concertata fra il clinico, che seleziona i pazienti piùidonei a giovarsi dello screening e lo specialista di laboratorio diemostasi che allestisce ed esegue i test più appropriati, sia ilrequisito essenziale per la razionalizzazione della spesa e l'usoappropriato delle scarse risorse oramai disponibili.Difetti congeniti dell'emostasi associati a trombosi venosa Sono tutti difetti che si trasmettono con tratto autosomicodominante.Anticoagulanti naturali . I soggetti con carenza congenita anchedi uno solo degli anticoagulanti naturali, anche se a livelli del50% della norma, sviluppano con maggiore frequenza trombosivenose; molto rare le trombosi arteriose. I difetti congeniti diantitrombina, proteina C e proteina S sono complessivamenteresponsabili del 15-20% degli episodi trombotici in soggettigiovani (meno di 50 anni). A causa della incompleta penetranzadei difetti, non tutti gli individui carenti sviluppano latrombosi. La comparsa dei sintomi è correlata con l'età. Laprobabilità èbassa al di sotto dei 20 anni e diventasignificativamente elevata al di sopra dei 50. Circa la metà deipazienti sviluppano la trombosi spontaneamente, la restanteparte in concomitanza di fattori scatenanti (gravidanza, traumi,interventi chirurgici, o uso di contraccettivi orali). Per quantoriguarda l'antitrombina, le varianti che si esprimono con undifetto di legame per l'eparina presentano, rispetto allevarianti con difetto di legame per le proteasi seriniche, unaminore incidenza di eventi trombotici. Queste osservazionitrovano riscontro nel fatto che le uniche famiglie finoradescritte con membri affetti da carenza omozigote presentano undifetto di legame per l'eparina. È probabile che la carenzaomozigote nelle altre varianti a maggior rischio trombotico non sia compatibile con la vita. Per quanto riguarda la proteina C e laproteina S sono state descritte anche carenze omozigoti, conlivelli estremamente ridotti di attività funzionale (anche meno del5%) e con sintomi trombotici che possono comparire in manieradrammatica subito dopo la nascita ("purpura fulminans") e avereanche decorso fatale.Resistenza alla proteina C attivata .Se al plasma umano normale si aggiungono concentrazionicrescenti di proteina C attivata, si assiste ad un prolungamentoproporzionale del tempo di coagulazione (ad esempio il tempo ditromboplastina parziale attivato, APTT), come conseguenzadell'inattivazione dei Fattori Va e VIIIa. Esistono soggetti il cuitempo di coagulazione, dopo aggiunta in vitro di proteina Cattivata, non si prolunga adeguatamente (3). Responsabile ditale anomalia, denominata resistenza alla proteina C attivata, ènella stragrande maggioranza dei casi (più del 90%) unamutazione nel gene del Fattore V (Fattore V Leiden), checomporta una sostituzione amminoacidica nella proteina matura(4). Tale mutazione coinvolge uno dei siti dove il Fattore Va vieneinattivato dalla proteina C attivata. Il Fattore Va mutato mantieneinalterata la propria attività procoagulante, ma resiste allainattivazione, determinando nei soggetti portatori uno stato diipercoagulabilità con aumentato rischio di trombosi venosa (5,6). La resistenza alla proteina C attivata, sostenuta dallamutazione del Fattore V Leiden, rappresenta la causa piùfrequente di trombosi eredofamiliare finora identificata. Il difettoha una prevalenza nella popolazione trombofilica del 20-60% (5,7) a seconda della selezione della casistica, ed è presente nellapopolazione normale con una prevalenza variabilie dal 3 al 15%(8). Si può presentare anche allo stato omozigote e, consideratala sua alta prevalenza nella popolazione, si associa con una certafrequenza ad altre carenze congenite (antitrombina, proteina C,proteina S), odifetti acquisiti (anticorpi antifosfolipidi,iperomocisteinemia, ecc.), aumentando così il rischio di trombosinei soggetti portatori (9-12).Mutazione 20210A della protrombina. Recentememente èstata identificata un'ulteriore mutazione protrombotica a carico del gene per la protrombina (20210A), che si esprime fenotipicamente con un aumento dell'attività dellaprotrombina nel plasma (13). La prevalenza del difetto nellapopolazione trombofilica è del 10-18% a seconda della selezionedella casistica edel 1% nella popolazione generale.Apparentemente la mutazione da sola conferisce un rischiorelativo abbastanza modesto, ma l'associazione con altri difettipotrebbe incrementarlo.Quali metodi per identificare i difetti congeniti I difetti congeniti (antitrombina, proteina C/S, Fattore V Leiden emutazione della protrombina) potrebbero essere identificatimediante l'analisi del DNA. Essa sarebbe preferibile rispettoalla misura sul plasma perché darebbe una risposta univoca. Inpratica ciò è fattibile solo in alcuni casi particolari (ad es. FattoreV Leiden e mutazione della protrombina), dove si conosce concertezza la localizzazione della mutazione. In tutti gli altri casi,ci si deve accontentare di documentare la manifestazionefenotipica studiando il plasma. Là dove è possibile, lo screening dilaboratorio deve essere eseguito utilizzando esclusivamentemetodi funzionali (1, 14). Esistono, infatti, numerose carenzecongenite sostenute dalla presenza di molecole disfunzionali deglianticoagulanti naturali. In questi casi la concentrazione antigenicadella proteina è normale, ed è solo la sua attività funzionale che èridotta.Per l'antitrombina, i metodi funzionali che misurano l'attivitàinibitoria esercitata nei riguardi della trombina o del Fattore Xain presenza di eparina, sono idonei allo screening di laboratorio.Per la proteina C numerosi sono i metodi funzionali finora descrittied esistono kit commerciali di semplice esecuzione. Essi sibasano sulla misura dell'attività anticoagulante della proteina Cattivata nei riguardi dei suoi substrati naturali (Fattore VIIIa eVa), o sull'attività amidolitica che la proteina C attivata esercitanei riguardi di piccoli substrati artificiali (substrati cromogenici).In generale le due attività (anticoagulante e amidolitica) sono fraloro in accordo, ma sono stati descritti pazienti con attivitàdiscrepanti. Per lo screening del paziente trombofilico, siconsiglia l'uso dei metodi amidolitici, perchè di più sempliceesecuzione e meno soggetti ad interferenze.La proteina S circola nel plasma sotto due forme: libera per il40% e legata ad una proteina regolatrice del complemento, C4b-binding protein (C4bBP) per il 60%. Le due forme sono fra loro inequilibrio esolo quella libera è funzionalmente attiva. In conseguenza di questa peculiare distribuzione, la carenza diproteina S può presentarsi almeno sotto tre forme distinte.Deficit totale della proteina, deficit della sola forma libera epresenza di proteina S disfunzionale. Tutto questo complica ladiagnosi di laboratorio. Il metodo funzionale, esplora le capacitàcofattoriali della proteina S nei riguardi della proteina C attivata esarebbe quindi da solo in grado di identificare tutte le forme dicarenza. Tuttavia, esso è influenzato dalla presenza dellamutazione del Fattore V Leiden e questo ne limita l'uso. Allo statoattuale, è consigliabile basare la diagnosi sulla misura antigenicadella proteina S libera, che si può effettuare mediante anticorpimonoclonali che riconoscono la sola forma libera, o medianteanticorpi policlonali, dopo aver eliminato dal plasma la formalegata mediante precipitazione selettiva con polietilenglicole(PEG).Per la resistenza alla proteina C attivata la diagnosi di laboratoriosi esegue con test funzionali su plasma che valutano l'entità delprolungamento del tempo di coagulazione dopo aggiunta diproteina C attivata. La sensibilità di questi metodi nello svelare ildifetto sostenuto dalla mutazione del Fattore V Leiden, è vicina al100%, non cosi'la loro specificità, che si avvicina al 100% soloquando il plasma del paziente viene diluito in plasma carente diFattore V prima dell'esecuzione del test (15). All'identificazione diun soggetto resistente è sempre buona norma far seguire laconferma con il test genetico. L'alternativa di eseguire l'analisigenetica direttamente nella fase di screening, sebbenetecnicamente praticabile, comporta costi relativamente elevati enon sempre giustificabili.La presenza della mutazione nel gene della protrombina si associaad aumentati livelli di protrombina nel plasma, tuttavia a causadella notevole sovvrapposizione di valori fra portatori e nonportatori, la sola misura dei livelli plasmatici della protrombinanon è idonea ad identificare i soggetti portatori della mutazione.Attualmente l'analisi del DNA sembra l'unica via praticabile.Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi Questa sindrome è sostenuta dalla presenza nel plasma dianticorpi diretti contro i fosfolipidi anionici, o contro i complessidi alcune proteine (proteina C, proteina S, protrombina, beta2-glicoproteina I) e i fosfolipidi (16). In un certo numero di pazientila presenza degli anticorpi è associata all'insorgenza di sintomitrombotici venosi e/o arteriosi, aborti ripetuti e piastrinopenia. La diagnosi di laboratorio può essere effettuata mediante metodidiretti che evidenziano la presenza degli anticorpi in fase solida,usando come antigene catturante la cardiolipina (ricerca deglianticorpi anticardiolipina) e mediante metodi indiretti chesfruttano l'interferenza che gli anticorpi hanno sui test classicidella coagulazione dipendenti dai fosfolipidi (ricercadell'anticoagulante lupico, LA). A causa della impossibilità diidentificare con un singolo test le diverse classi di LA, i comitati distandardizzazione, hanno stabilito una strategia diagnosticabasata su tre criteri principali (17). Il primo criterio impone cheuno (o più) dei test fosfolipidi-dipendenti sia prolungato oltre ilimiti della norma (test di screening). Bisogna poi dimostrare cheil prolungamento sia effettivamente dovuto alla presenza di unanticoagulante circolante (test della miscela per il secondocriterio). Il terzo criterio impone di provare che l'inibitore siadiretto contro i fosfolipidi,(test di conferma). In teoria, qualsiasitest fosfolipide-dipendente, che esplori globalmente o in parte lacascata coagulatoria e sia eseguito su plasma filtrato, sarebbeidoneo a svelare la presenza del LA. In pratica, il test più usatoper ragioni storiche e di comodità è l'APTT, che non è peròidoneo allo screening, a causa della sua scarsa sensibilità. Testpiù sensibili sono il tempo di coagulazione al caolino (KCT) e iltest al veleno di vipera Russell diluito (dRVVT). Il test dellamiscela si esegue con qualunque dei test di screeningprecedentemente esaminati e consiste nella ripetizione deltest su una miscela plasma paziente/plasma normale. Lapersistenza del prolungamento del tempo di coagulazioneeseguito sulla miscela, suggerisce la presenza di unanticoagulante circolante.I test di conferma sono per lo più basati sull'incremento, o ladiminuzione della concentrazione dei fosfolipidi, o sull'uso difosfolipidi a conformazione particolare. Il tempo di coagulazionedi un test fosfolipide-dipendente, prolungato per la presenza delLA, si accorcia sensibilmente fino a correggere quasicompletamente il difetto, se ripetuto aumentando laconcentrazione dei fosfolipidi. Al contrario, il test siprolungherà se viene diminuita la concentrazione dei fosfolipidi.Esistono numerosi test di conferma, ed esistono diverse fontipossibili di fosfolipidi. Fra i test di conferma più usati ricordiamol'APTT con aggiunta di lisato piastrinico quale fonte di fosfolipidi.Il test di conferma può anche essere eseguito con il dRVVT conaggiunta di fosfolipidi concentrati. Anche il tempo diprotrombina (PT), se eseguito con tromboplastina
    opportunamente diluita, si può considerarenell'armamentario del laboratorio per la diagnostica del LA.L'uso di silice micronizzata in combinazione con fosfolpidi abassa concentrazione può essere un buon sostituto del KCT nellaprocedura di screening. La ripetizione del test con fosfolipidi a piùalta concentrazione consente di disporre di un test di confermafacilmente automatizzabile e di semplice esecuzione. Infine, frale procedure di conferma di più recente introduzione bisognaricordare l'APTT eseguito mediante fosfolipidi a conformazioneesagonale. Quest'ultima conformazione renderebbe i fosfolipidipiù disponibili a legare il LA che verrebbe, pertanto, riconosciutocon una maggiore sensibilità e specificità. Tutte le procedure diconferma non hanno risolto definitivamente il problema dellaspecificità. False positività in plasmi con inibitori diretti controil Fattore V o VIII sono purtroppo di frequente riscontro conqualunque delle procedure sopra ricordate. La storia clinicadel paziente, che sarà evidentemente di tipo emorragico in casodi inibitore diretto contro il Fattore V o VIII, aiuterà a risolvereeventuali dubbi. La presenza di anticorpi anticardiolipina,rivelati in fase solida, non deve essere considerato un criterio diconferma per il LA. Infatti, non è infrequente che le duepositività non coesistano nello stesso paziente.Iperomocisteinemia L'omocisteina è un prodotto del catabolismo degli amminoacidisolforati (metionina) (18). Essa è presente nel plasma sottovarie forme che possono circolare libere o legate alle proteine;raggiungono una concentrazione nel normale di 5-15 umol/L evengono globalmente denominate omocisteina totale. Esistonosituazioni congenite o acquisite che portano all'accumulo nelplasma di omocisteina. Fra queste la più importante è lacarenza congenita di cistationina-beta-sintetasi, che allo statoomozigote può portare all'accumulo di livelli del metabolitasuperiori a 100 umol/L. Il difetto allo stato omozigote ha unaprevalenza nella popolazione di circa 1:200mila-1:300mila edetermina nei soggetti portatori la sindrome classica denominataomocistinuria, caratterizzata, fra l'altro, dall'insorgenza precoce dimalattie cardiovascolari e tromboemboliche.Forme meno gravi di iperomocisteinemia possono essere difrequente riscontro in soggetti affetti da un difetto congenito dellametilen-tetra-idro-folato-reduttasi (MTHFR), che rappresentaun'altra via metabolica dell'omocisteina. Le forme più frequenti di
    iperomocisteinemia acquisita sono per lo più secondarie a deficitdi folati e vitamina B 12 . Studi caso-controllo hanno dimostratocome anche l'iperomocisteinemia moderata possa essere causa diinsorgenza di trombosi arteriosa (ictus, infarto del miocardio etrombosi arteriose periferiche). Recentemente è stato dimostratocome l'iperomocisteinemia moderata sia associata con una certafrequenza anche all'insorgenza di trombosi venosa. La diagnosidi laboratorio dell'iperomocisteinemia è basata sulla misuradella concentrazione plasmatica totale del metabolita mediantecromatografia ad alta pressione. La diagnosi non comportaparticolari problemi nei soggetti omozigoti, mentre neglieterozigoti la misura dei livelli di metabolita 4 ore dopo un caricoorale di metionina può migliorare la capacità diagnostica del test.TROMBOSI ARTERIOSA Nonostante le piastrine giochino un ruolo importante nellaformazione del trombo arterioso, il valore predittivo dei test diaggregazione piastrinica in vitro nella trombosi arteriosa èpraticamente inesistente (19) ed è quindi inutile eseguire test diaggregazione piastrinica in soggetti trombofilici. Al contrario studiprospettici eseguiti negli ultimi anni hanno documentato il valorepredittivo dell'iperfibrinogenemia e dell'aumento del Fattore VIInella cardiopatia ischemica conferendo una precisa rilevanzaepidemiologica al concetto di "ipercoagulabilità" (20). Pertanto, idosaggi di questi due fattori dovrebbero essere inclusi nei profilidi valutazione del rischio trombotico arterioso. Per quantoriguarda i loro metodi di misura, gli studi, soprattutto quelli peril fibrinogeno, hanno usato metodi assai diversi fra loro. Questo,se da una parte dà maggiore rilevanza al concetto dellaiperfibrinogenemia come fattore di rischio, visto che tutti glistudi seppur con metodi diversi ne hanno confermato lapredittività, dall'altro ha creato qualche confusione sulla scelta deimetodi e sui livelli di allarme. L'opinione corrente è che il metodopiù idoneo sia il metodo funzionale che esplora la coagulabilitàdel fibrinogeno nel plasma, mentre per i livelli di allarme si puòdire che essi sono ancora nel range classico di normalità e cheaumenti anche di poche diecine di mg/dL spostano il rischio inmaniera considerevole.La misura del fattore VII, negli studi dove è stata presa inconsiderazione èstata eseguita con metodi coagulatoritradizionali. La possibilità che la misura antigenica possa fornire le stesse informazioni è ancora dibattuta, come pure la possibilitàche la misura della sua forma attivata possa essere un indice piùidoneo di ipercoagulabilità plasmatica. A questo riguardo, bisognaanche aggiungere che studi ulteriori sono in corso per valutare lapredittività di altri marcatori di ipercoagulabilità quali quella delframmento 1+2 della protrombina (F 1+2).QUANDO EFFETTUARE LE INDAGINI DI LABORATORIO Tutte le misure sul plasma di cui abbiamo precedentementeparlato, ad esclusione dell'antitrombina e della omocisteina, sonoinfluenzate dall'assunzione di anticoagulanti orali, o dallasomministrazione di eparina. Unica eccezione è costituita dallaresistenza alla proteina C attivata, che può essere misurata anchein presenza di anticoagulanti orali, purchè il plasma sia diluito inplasma carente di Fattore V prima dell'analisi (21). In tutti gli altricasi è importante che l'indagine di laboratorio venga eseguita incondizioni basali e preferibilmente lontano dall'evento acuto, chepotrebbe essere causa di difficile interpretazione del risultato. Neicasi in cui la terapia anticoagulante orale si dovesse protrarresine die, l'unica alternativa praticabile è quella di sospendere percirca dieci giorni la terapia, in attesa che i fattori vitamina Kdipendenti tornino ai livelli normali. Durante tale periodo ilpaziente dovrebbe essere sottoposto a profilassi adeguata conmezzi alternativi agli anticoagulanti orali (es. eparina a bassopeso molecolare). Irischi di tale manovra devono comunqueessere sempre attentamente valutati e le decisioni prese caso percaso.OGGETTO DELLO SCREENING ECONSIDERAZIONICONCLUSIVENonostante alcuni dei difetti sopra menzionati siano di frequenteriscontro anche nella popolazione generale, lo screening dilaboratorio per la trombofilia venosa non viene di norma eseguitonel soggetto sano anche nei casi in cui egli sarà esposto amanovre o interventi potenzialmente a rischio trombotico (1,14). La possibile eccezione a questa regola, costituita dallaricerca della resistenza alla proteina C attivata nei soggetti dasottoporre ad intervento chirurgico, o nelle donne che assumonocontraccettivi orali, non trova ancora adeguati consensi (14).Pertanto, l'indagine di laboratorio deve essere ristretta aqueisoggetti che hanno avuto uno o più episodi trombotici in età giovanile (meno di 50 anni), in particolare (ma nonesclusivamente)se spontanei. La positività della storia familiarepuò essere considerata, ma non deve costituire elementoessenziale per avviare il soggetto allo screening.Lo screening di laboratorio per questi pazienti prevede la misuradell'antitrombina, proteina C, proteina S, il test per valutare laresistenza alla proteina C attivata e l'analisi del DNA per laidentificazione della mutazione della protrombina (Tabella 1) .Ulteriori accertamenti quali la valutazione della fibrinolisi, lamisura del co fattore eparinico II ela ricerca delledisfibrinogenemie, possono essere intraprese nei casi piùsuggestivi, tuttavia, è bene ricordare che il loro ruolo nellatrombosi ereditaria non è mai stato definitivamente comprovato(fibrinolisi e deficit di co fattore eparinico II), oppure i difettisono di evenienza assai rara (disfibrinogenemia). Oltre alloscreening per i deficit congeniti, bisogna anche indagare ilpaziente trombofilico per accertare la presenza degli anticorpiantifosfolipidi eper valutare ilivelli di omocisteinemia(Tabella 1) . Eventuali anomalie, riscontrate con i test suplasma debbono essere attentamente valutate per escluderedeficit acquisiti degli anticoagulanti naturali (es. in seguito adepatopatia) e confermate su un secondo prelievo a distanza diuno-due mesi.Nei casi di positività per uno o più difetti ereditari, bisognaestendere lo studio di laboratorio a tutti i membri della famigliadisponibili all'indagine, anche se asintomatici.Poichè il rischio nel singolo paziente dipende dal numero deidifetti sia genetici che acquisiti di cui egli èportatore, èimportante che l'indagine di laboratorio prenda in considerazionetutti i fattori di rischio.Il paziente e i suoi familiari portatori del difetto, anche seasintomatici, debbono essere adeguatamente informati circa irischi che la loro condizione comporta ed invitati a concordarecon il medico del Centro le misure profilattiche adeguate aridurre il rischio in occasione di esposizione ad eventiscatenanti (chirurgia, gravidanza, contraccetivi orali,immobilizzazioni, ecc.).Infine, per quanto riguarda la trombosi arteriosa, i fattori dirischio identificabili dal laboratorio di emostasi sono oltre alfibrinogeno e al Fattore VII, la presenza degli anticorpiantifosfolipidi e della iperomocisteinemia, ambedue associateanche ad eventi di tipo arterioso. Sebbene lo studio dei fattori dirischio per trombosi venosa non abbia documentato una convincente associazione fra questi ultimi e la trombosi arteriosa(22), sporadiche osservazioni su pazienti con carenza congenita diantitrombina, proteina C, o proteina S suggeriscono che in casi deltutto particolari (ad es. soggetti molto giovani con storia diinfarto del miocardio, in assenza di fattori di rischio e coronarieintegre) si possa allargare lo screening, includendo le indagini peri fattori di rischio di trombofilia venosa. Secondo recenti studi lamutazione del Fattore V Leiden e della protrombina potrebberoessere ambedue fattori di rischio per infarto del miocardio nellegiovani donne fumatrici (23, 24). Tuttavia, la necessità di eseguirela ricerca delle mutazioni in tale contesto richiede ulterioriapprofondimenti.RACCOMANDAZIONI Per lo screening del paziente trombofilico valgono le seguenti racommandazioni.L'indagine di laboratorio si esegue solo sui soggetti che hannoavuto almeno un episodio di trombosi, con o senza familiarità.L'età dei soggetti da avviare allo screening è generalmenteinferiore ai 50 anni.Prima dello screening bisogna escludere eventuali cause chepossano spiegare la trombosi (neoplasie).Eseguire lo screening secondo i test consigliati per la trombofiliavenosa e arteriosa (Tabella 1).L'indagine di laboratorio deve essere eseguita lontano dall'episodioacuto (1-2 mesi) e in assenza di anticoagulanti orali e/o eparina.I riscontri diagnostici positivi debbono essere confermati in unaoccasione successiva e dopo aver escluso eventuali causeacquisite di carenza (ad es. epatopatia).Estendere sempre l'indagine ai familiari del probando anche seancora asintomatici.I portatori del difetto debbono essere adeguatamente informaticirca i rischi che la loro condizione comporta ed invitati a riferirsial Centro in occasione di esposizione ad eventi scatenanti(chirurgia, gravidanza, contraccetivi orali, immobilizzazioni,ecc.).BIBLIOGRAFIA 1. 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    Armando Tripodi La fonte di queste linee guida una bozza della SISET (1999)attualmente in fase dicorrezione e non ancora sottoposta adiffusione vAI SU CLICCA QUA


    Edited by patroclotest - 26/10/2010, 10:50
     
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