Le immunodeficienze primitive

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  1. alfonso1953
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    immunodeficienze primitive immunodeficienze primitive
    N.3 - Le immunodeficienze primitive Le immunodeficienze primitive
    Cosa sono le immunodeficienze primitive
    Il sistema immunitario: come funziona?
    La classificazione delle immunodeficienze primitive
    La frequenza
    Come si manifestano
    Ereditarietà
    Come si arriva alla diagnosi
    Come si curano
    Prospettive future
    Aspetti socio-familiari
    --------------------------------------------------------------------------------

    Le immunodeficienze primitive
    Le immunodeficienze primitive costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie causate da difetti delle cellule e delle molecole del sistema immunitario.

    In passato si riteneva che fossero estremamente rare e gravi, tanto da manifestarsi molto precocemente e interessare solo lattanti o bambini nei primi anni di vita ma è ormai ben noto che possono presentarsi anche con sintomi modesti e manifestarsi quindi in età successive, nel bambino grandicello, nell’adolescente o addirittura nell’adulto. Diagnosticarle precocemente è di estrema importanza in quanto tutte le immunodeficienze possono essere curate e molte possono guarire: quanto più presto vengono iniziate le cure, tanto maggiore è la probabilità di evitare che le infezioni o, talvolta, le malattie autoimmuni, possano causare danni irreparabili di organi come il polmone o il fegato. Inoltre la diagnosi precisa delle immunodeficienze primitive consente di avviare precocemente lo studio del difetto genetico, consentendo così alla famiglia la possibilità di pianificare le future gravidanze.

    Cosa sono le immunodeficienze primitive
    Sono malattie caratterizzate da abnorme suscettibilità alle infezioni causata da un difetto genetico dei normali meccanismi della risposta immunitaria.

    Non rientrano perciò tra le immunodeficienze altre malattie che favoriscono le infezioni, anche gravi e ricorrenti, per via di difetti che non riguardano i meccanismi della risposta immunitaria. Ad esempio, la fibrosi cistica del pancreas è caratterizzata da infezioni gravi e ripetute a carico del polmone che si verificano perché le secrezione sono molto dense e vischiose e ristagnano nei polmoni; in molte cardiopatie congenite, la circolazione di sangue nei polmoni è compromessa e questo favorisce il ricorrere di infezioni.

    Il sistema immunitario: come funziona?
    Il funzionamento del sistema immunitario è garantito da molteplici meccanismi interattivi che consentono all'organismo di mantenere la propria identità e integrità (self) rispetto all’ambiente (non self) e che possono essere raggruppati in 4 sistemi principali:

    1- il sistema dei B linfociti (che garantisce la risposta anticorpale);
    2- il sistema dei T linfociti che dà la risposta immunitaria "cellulare";
    3- la cascata enzimatica del complemento;
    4- il sistema dei fagociti (polimorfonucleati e macrofagi) che provvede alla
    eliminazione del microrganismo.

    Con i primi due meccanismi, il sistema immunitario riconosce il germe estraneo che ha infettato l’organismo: sia i B che i T linfociti sono dotati di “recettori”, vale a dire di molecole che sono in grado di riconoscere i germi e, più in generale, tutte le sostanze estranee.

    L’avvenuto riconoscimento del microrganismo o della sostanza estranea da parte dei B o dei T linfociti fa scattare i meccanismi di aggressione del complemento e dei fagociti che riescono ad uccidere la maggior parte dei germi.

    In realtà, i germi sono essenzialmente di due tipi. Alcuni, una volta infettato l’organismo, vivono e si moltiplicano nel sangue e nei liquidi corporei rimanendo sempre al di fuori delle cellule: sono i cosiddetti germi “extracellulari” come Streptococchi e Stafilococchi. Il nostro organismo si difende da questi germi per mezzo dei B linfociti e degli anticorpi che “individuano” il germe invasore nei liquidi extracellulari e fanno convergere su di lui i meccanismi difensivi del complemento (che produce veri e propri fori nella membrana del microbo) e dei fagociti che ingeriscono il germe e lo uccidono richiudendolo in una capsula al cui interno “iniettano” acqua ossigenata e altri prodotti chimici altamente tossici.

    Altri microrganismi, come tutti i virus, i funghi e molti batteri, una volta penetrati nell’organismo raggiungono rapidamente cellule “bersaglio” (ad esempio i virus dell’epatite raggiungono le cellule del fegato, i virus dell’encefalite le cellule del cervello) e vi si annidano sfuggendo così al meccanismo difensivo dei B linfociti e degli anticorpi: gli anticorpi sono molecole che circolano in tutti i liquidi dell’organismo ma non sono in grado di penetrare all’interno delle cellule.

    Sono i cosiddetti microrganismi “intracellulari”. Per difenderci da questi microrganismi – che sfruttano le cellule bersaglio come “santuario” per sfuggire alle difese anticorpali – il sistema immunitario utilizza i linfociti T che si ancorano alla membrana delle cellule infettate e le uccidono: i microrganismi vengono così snidati, diventano preda degli anticorpi e vengono rapidamente uccisi dai fagociti. La difesa dai microrganismi “intracellulari” è quindi anche un’autoaggressione perché, per eliminare il germe, il sistema immunitario deve necessariamente uccidere anche cellule dell’organismo.

    I B e i T linfociti vengono prodotti nel midollo osseo durante tutta la vita a partire da “cellule madri” (cellule staminali ematopoietiche) comuni che maturando si trasformano in T o B linfociti. In condizioni normali, i B linfociti maturi escono dal midollo; in parte vanno a colonizzare linfonodi e la milza –di qui provvedono alla produzione di anticorpi circolanti nel sangue - e in parte popolano il tessuto linfatico presente in tutto l’intestino, nei polmoni e nelle vie urinarie, ove provvedono alla produzione di anticorpi secretori (immunità secretoria).

    I linfociti T dal midollo arrivano al timo ed é qui che maturano e diventano capaci di ancorarsi alle cellule dell’organismo, meccanismo essenziale per la difesa dai germi “intracellulari”.

    La classificazione delle immunodeficienze primitive
    Come abbiamo visto, il sistema immunitario risulta composto da 4 sistemi principali e risulta logico classificare le immunodeficienze a seconda del sistema più colpito dalla malattia, ricordando che spesso più sistemi possono essere coinvolti.

    1- i difetti dei B linfociti le immunodeficienze anticorpali; poiché gli anticorpi servono principalmente per difenderci dai germi “extracellulari”, queste immunodeficienze sono caratterizzate da aumentata suscettibilità alle infezioni da microrganismi extracellulari (tabella 1);

    2- i difetti dei T linfociti causano anzitutto una diminuita capacità di difendersi dai germi “intracellulari”; ma anche i B linfociti sono coinvolti: per produrre gli anticorpi, i B linfociti hanno bisogno dell’aiuto dei T linfociti (i cosiddetti T linfociti helper); i difetti dei T linfociti si accompagnano quindi di regola a difetti anticorpali con aumentata suscettibilità alle infezioni da agenti sia intracellulari che extracellulari: queste immunodeficienze prendono il nome di “combinate” e, se il difetto é molto grave, di “immunodeficienza combinata grave” (o SCID: dall’inglese Severe Combined Immunodeficiency Disease) (tabella 1);

    3- le immunodeficienze da difetti del complemento sono estremamente rare;

    4- le immunodeficienze da difetti dei fagociti relativamente più frequenti sono elencate in tabella 2;

    5- le immunodeficienze associate a sindromi sono malattie in cui, oltre al sistema immunitario, sono coinvolti anche altri organi (tabella 3).

    La frequenza
    La frequenza delle immunodeficienze varia enormemente, da malattie estremamente diffuse, come il deficit selettivo di IgA che ha una frequenza di 1:500, 1:700 nella popolazione generale, a forme come la agammaglobulinemia di Bruton (1:100.000) o le SCID (1: 50.000). Le frequenze note delle più importanti immunodeficienze sono segnate nelle rispettive tabelle.

    Come si manifestano
    Abbiamo già detto che i soggetti con immunodeficienza soffrono soprattutto di infezioni ricorrenti; tuttavia possono presentare anche sintomi di altre malattie associate e possono essere sintomi così evidenti e importanti da “mascherare” quelli della sottostante immunodeficienza. Le malattie associate più frequenti sono quelle autoimmuni o reumatiche, le malattie che colpiscono l’intestino o il sangue.

    Le Infezioni:
    le infezioni ricorrenti colpiscono differenti organi: i più colpiti sono il polmone (bronchiti e polmoniti), i seni paranasali (sinusiti) e l’orecchio (otiti), ma a volte l’infezione si diffonde a interessare il sangue (setticemia) o il sistema nervoso (meningiti o meningoencefalicti). Nella maggior parte dei pazienti ogni episodio infettivo ha un decorso del tutto simile a quello dei soggetti immunologicamente normali: vale a dire che ogni infezione risponde bene alla terapia antibiotica e guarisce normalmente. D’altro canto tutti i bambini soffrono comunemente di infezioni ricorrenti, soprattutto tra i 3 e i 6 anni quando iniziano a frequentare la scuola materna e dunque come distinguere le infezioni ricorrenti di un bambino immunologicamente normale da quelle di un bambino con immunodeficienza? La diagnosi non è facile, ma alcuni elementi possono aiutare a orientarsi: innanzitutto le infezioni tendono a susseguirsi con tale frequenza e ostinazione da divenire croniche, in secondo luogo tendono a coinvolgere contemporaneamente differenti organi (ad esempio l’otite acuta ricorrente che si accompagna a polmoniti o sinusiti recidivanti) e a ripetersi in sedi diverse (ad esempio la polmonite recidiva in differenti sedi del polmone). A lungo andare queste infezioni possono causare danni irreparabili (ad esempio le bronchiettasie nei polmoni) o lesioni croniche come la poliposi dei seni paranasali. Inoltre a volte le infezioni sono particolarmente gravi, oppure si sviluppano complicanze inattese ovvero ancora si isolano germi che abitualmente sono innocui, come ad esempio i germi opportunisti che, molto diffusi nell’ambiente, non causano mai infezioni nei soggetti con normale sistema immunitario. La gravità dell’infezione o l’isolamento di germi inusuali sono i principali “campanelli di allarme” che devono far sospettare un’immunodeficienza. Quando ad esempio un bambino sviluppa una broncopolmonite da Pneumocystis carinii , anche se si tratta della prima o dell’unica infezione verificatasi fino a quel momento, l’immunodeficienza va sempre sospettata. L’identificazione del germe che causa l’infezione (e la sede della infezione) non si limitano a suggerire la condizione di immunodeficienza, ma danno informazioni anche sulla natura del possibile difetto immunologico sotteso: come già si è detto, i soggetti che hanno un difetto dei B linfociti sono suscettibili ai batteri come lo Pneumococco o l’Haemophylus influenzae e ai virus. I soggetti che hanno un difetto prevalente dei T linfociti presentano infezioni sostenute soprattutto da Pneumocystis c., virus e funghi. I pazienti con difetto dei fattori del complemento hanno infezioni –soprattutto meningiti e sepsi - da Meningococco o da altre Neisseriae, mentre nei difetti dei fagociti, le infezioni sono causate soprattutto da batteri (Stafilococco) e colpiscono tipicamente la pelle e i linfonodi.

    Quanto alle malattie associate, quelle cosiddette autoimmuni o reumatiche sono molto frequenti e si può comprenderne la ragione in quanto, quando il sistema immunitario è difettoso, può venire a mancare anche la capacità di distinguere tra l’ambiente aggressivo (non self) e le strutture proprie (self) con produzione di anticorpi diretti contro il proprio organismo (autoanticorpi). Questi autoanticorpi possono essere diretti contro diverse strutture: contro i globuli rossi (si sviluppano allora le anemie emolitiche), contro le piastrine (le piastrinopenia autoimmuni), contro i vasi sanguigni (le vasculiti), contro le articolazioni o contro molti organi contemporaneamente (l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico o la dermatomiosite). Queste malattie compaiono solo in alcune immunodeficienze: ad esempio sono particolarmente frequenti nel deficit selettivo di IgA, nella immunodeficienza comune variabile e nei difetti del complemento, mentre sono rarissime nella agammaglobulinemia X-recessiva.

    La diarrea cronica e il malassorbimento fino alla vera e propria malnutrizione sono sintomi tipici del lattante o del piccolo bambino con immunodeficienza. A volte la causa dei sintomi è un’infezione (da Giardia lamblia, rotavirus o Criptosporidium), ma spesso l’infiammazione dell’intestino non è causata da germi, ma dovuta a una delle cosiddette malattie infiammatorie croniche dell’intestino come la malattia celiaca, la gastrite atrofica con anemia perniciosa o l’iperplasia nodulare linfoide.

    Il bambino con immunodeficienza ha poi alcuni sintomi tipici dovuti a alterazioni delle cellule del sangue: l’anemia, il basso numero di globuli bianchi o di piastrine sono molto frequenti: in alcuni casi il segno è tipico di quella particolare immunodeficienza, come le anormalità delle piastrine, patologicamente piccole e scarse di numero (piastrinopenia) che sono caratteristiche della sindrome di Wiskott-Aldrich; in altri casi invece, il sintomo è conseguenza diretta della concomitante malattia autoimmune, che, come abbiamo visto, può facilmente colpire i globuli rossi o le piastrine (anemia emolitica e piastrinopenia autoimmuni). Questi sintomi si osservano di frequente nei pazienti con ipogammaglobulinemia comune variabile, deficit selettivo di IgA o immunodeficienza con Iper IgM.

    Ereditarietà
    La maggior parte delle immunodeficienze primitive è genetica: l’errore può essersi sviluppato per la prima volta nel bambino (casi sporadici) o può essere stato ereditato. In quest’ultimo caso il difetto genetico (quindi la malattia) può venire ereditato con modalità differenti: le più frequenti sono la autosomico dominante, autosomico recessiva e X-recessiva.

    L'ereditarietà delle principali immunodeficienze è indicata nelle tabelle. Come si può vedere, alcune malattie (ne sono esempi SCID e CGD) possono venire ereditate con differenti modalità di trasmissione, a seconda del gene che è difettivo.

    Che cosa significa ereditarietà autosomico-dominante?
    Quando una malattia è autosomico-dominante significa che, quando uno dei due genitori é malato, il rischio di avere un figlio a sua volta malato é del 50%, ad ogni gravidanza successiva, indipendentemente dal sesso del nascituro: nell’albero genealogico l’immunodeficienza compare ad ogni generazione.
    Sia individui di s
    esso maschile che di sesso femminile possono ugualmente essere malati e trasmettere la malattia, seppure in forme più o meno severe, a seconda della diversa "espressività" della malattia.

    Quando invece l’immunodeficienza è ereditaria con modalità autosomico-recessiva, significa che sia il padre che la madre sono portatori sani del gene difettivo, se il figlio eredita sia dal padre che dalla madre il gene difettivo , la malattia si manifesta. In questi casi (genitori entrambi portatori sani della stessa malattia) il rischio di avere un figlio malato è del 25% per ogni gravidanza successiva, indipendentemente dal sesso del nascituro. I bambini malati però non avranno a loro volta il rischio trasmettere la malattia (a meno che non incontrino un partner anch'esso affetto o portatore della malattia) ma avranno tutti figli portatori sani. Nell’albero genealogico di queste famiglie la malattia può “saltare” anche molte generazioni o non trovarsi per nulla, ma spesso sono presenti matrimoni tra consanguinei.

    Le malattie a trasmissione X-recessiva colpiscono i soggetti di sesso maschile: il padre è sano, la madre è portatrice sana e spesso ha, a sua volta, fratelli malati. Il rischio di avere un figlio malato è del 50% ad ogni gravidanza con feto di sesso maschile. Inoltre, ad ogni gravidanza con feto femmina, vi é il 50% di probabilità di generare una figlia portatrice sana. Il maschio affetto avrà figli maschi tutti sani e femmine tutte portatrici.

    Come si arriva alla diagnosi
    Di fronte ad un bambino con infezioni ricorrenti o con i sintomi di una malattia che può far sospettare una immunodeficienza vanno pianificati esami molto semplici, evitando di procedere affrettatamente a troppi esami il cui risultati possono essere confondenti.

    Nel sospetto clinico di immunodeficienza, l’emocromo, il dosaggio delle immunoglobuline e la conta delle sottopopolazioni linfocitarie sono i cosiddetti esami "di primo livello" sulla base dei cui risultati può essere presa la decisione di procedere a esami più complessi di analisi cellulare, molecolare o genetica, detti "di secondo livello".

    L’emocromo (esame emocromocitometrico) è cruciale: un basso numero di linfociti (meno di 1.000/mm3) fa porre il sospetto di un'immunodeficienza combinata grave; un numero basso di granulociti (meno di 1.500/mm3) fa sospettare una granulocitopenia o la sindrome di Chediak-Higashi o di Shwachman, mentre un elevato numero di globuli bianchi (fino a 50.000 – 70.000/mm3) suggerisce un deficit di adesione leucocitaria (LAD); infine la piastrinopenia con piastrine piccole è segno di sindrome di Wiskott-Aldrich.
    Altrettanto importante è la determinazione dei livelli di immunoglobuline: quando basse o del tutto carenti (attenzione a che la concentrazione delle immunoglobuline venga confrontata con i valori normali per l'età!), si procede agli accertamenti di “secondo livello” per discriminare tra le diverse forme di ipogammaglobulinemia. Si contano allora i B linfociti: nella agammaglobulinemia X-recessiva sono assenti, mentre nelle altre ipogammaglobulinemie i B linfociti sono presenti in numero normale. Nel sospetto di un difetto dei T linfociti, si contano i T linfociti circolanti e le loro principali sottopopolazioni (CD3, CD4, CD8): se alterati, è necessario approfondire gli accertamenti. Si procede con lo studio della risposta linfocitaria ai mitogeni e la misurazione dei loro “messaggeri” (citochine) utilizzando stimoli diversi : è possibile così defin ire con precisione il difetto dei T linfociti. Il cariogramma, la biopsia del linfonodo e la biopsia ossea sono utili per definire meglio l’immunodeficienza, ma altri sono diagnostici: ad esempio, per confermare la diagnosi di SCID da deficit di ADA o di PNP, è indispensabile dosare nei globuli rossi la concentrazione rispettivamente di adenosin deaminasi (ADA) e di purina nucleoside fosforilasi (PNP); per diagnosticare con certezza la malattia granulomatosa cronica si deve valutare la capacità dei globuli bianchi di fagocitare e uccidere i germi (NBT test) e per evidenziare i deficit congeniti di fattori del complemento è indispensabile valutare l'attività emolitica totale del siero (CH50).
    Infine, vanno brevemente ricordati gli esami genetici che devono essere sempre programmati in centri altamente specializzati: se si conosce il difetto del gene, lo si va a cercare direttamente nel DNA delle cellule. Per diagnosi prenatale vengono utilizzati i villi coriali che possono essere prelevati tra la prima e la 10° settimana di gestazione.
    Se invece il difetto non è noto, è necessario valutarne indirettamente la possibile esistenza attraverso la misurazione dei suoi prodotti anche questo esame può essere applicato alla diagnosi prenatale, ma è fattibile a partire dal secondo trimestre di gravidanza (amniocentesi alla quindicesima settimana, esame del sangue fetale mediante funicolocentesi alla ventesima settimana).

    Come si curano
    L’obiettivo della terapia per le immunodeficienze, come per ogni altra malattia, è ovviamente quello di guarire.
    Trattandosi di malattie genetiche, l’obiettivo probabilmente si potrà raggiungere con la terapia genica, con la sostituzione cioè del gene carente o difettivo con un gene sano. In effetti una immunodeficienza, la SCID con deficit di ADA, è stata curata con la terapia genica con buoni risultati, ma non ottimali come ci si sarebbe potuti aspettare. Conoscere i geni e i loro difetti è sufficiente per porre la diagnosi di immunodeficienza ma non per fare la terapia genica: per questa bisogna sapere esattamente come il gene funziona e come viene “regolato”, in altre parole quali sono e da dove vengono gli impulsi (di avvio o di blocco) che ne regolano l’attività. Non basta quindi sostituire il gene difettivo con un gene sano, ma quest’ultimo dovrebbe essere “tarato” su tutti gli altri geni che influenzano la sua attività. Un altro limite importante della terapia genica è dato dalla assoluta necessità di correggere solo le cellule molto giovani, in modo che la correzione genetica non venga persa troppo rapidamente. Ecco perché si è potuta applicare a malattie come le immunodeficienze: in questi casi si possono facilmente prelevare dal midollo osseo le cellule molto giovani (le cellule staminali o “cellule-madri), inserirvi i geni sani e reintrodurle così corrette nel paziente. Anche introdurle è molto semplice: è sufficiente trasfonderle (né più né meno come il sangue): dal torrente circolatorio le cellule tornano spontaneamente nel midollo osseo dove vivono molto a lungo, trasmettendo la correzione con il gene sano alle cellule figlie. Per altri organi o tessuti tutti questi passaggi sono impossibili o difficili o comunque non ancora attuabili.

    L’alternativa è di sostituire non già il gene, bensì tutte le cellule difettive: questo si ottiene con il trapianto di midollo osseo (TMO), che consiste nella sostituzione delle cellule mancanti o alterate con cellule sane ottenute da un donatore volontario. Dal momento che il midollo da trapiantare deve essere “compatibile”, deve cioè avere una struttura genetica (un sistema HLA) quanto più possibile simile, se non identica, a quella del bambino malato, il donatore ideale è rappresentato dal fratello o dalla sorella che, se identici, hanno certamente ereditato la stessa metà del patrimonio genetico dalla mamma e dal papà. Purtroppo la probabilità di avere un fratello HLA-identico è bassa (1: 4 per ogni fratello) ma, se si verifica, il TMO ha un successo del 100%. In mancanza di un fratello, si può ricorrere al trapianto da genitore o da donatore HLA identico non familiare: in questi casi aumentano i rischi, sia che il trapianto non attecchisca, sia che attecchisca ma riconosca il ricevente come estraneo. Si sviluppa allora la malattia da trapianto contro ospite (Graft versus host).

    Quando l’immunodeficienza è causata da difetti del prodotto genico (ad esempio le immunoglobuline), il trattamento più razionale prevede la sostituzione del prodotto mancante: così le immunoglobuline somministrate per via endovenosa sostituiscono il difetto di anticorpi del paziente.
    Lo stesso vale per l’impiego di fattori di crescita per i granulociti neutrofili in alcuni casi di granulocitopenia, il trattamento con alcune citochine (IL-2, IFN-gamma) per alcuni difetti dei T linfociti o dei fagociti.
    L’altro cardine su cui si basa la terapia delle immunodeficienze è la protezione dalle infezioni: comprende un ampio spettro di misure che vanno dalla sterilità dell’ambiente, (ovvero la creazione di un ambiente completamente privo di germi, quale quello che si attua nei letti a flusso laminare sterile) all’uso di banali misure di profilassi ambientale (evitare il contatto con persone ammalate, soprattutto di malattie contagiose) e di schemi di antibiotico-profilassi o –terapia, tuttora di importanza cruciale. Va ricordato che gli antibiotici devono essere usati con discernimento, ma anche con aggressività perché possono costituire dei veri e propri farmaci salvavita. La terapia va iniziata subito al primo insorgere dei segni di infezione, ma sempre dopo aver eseguito gli accertamenti colturali del caso (raccolta di escreato in caso di tosse, urine in caso di cistite, sangue in caso di febbre alta) in modo da poter poi “aggiustare” opportunamente la terapia in modo più mirato. Gli antibiotici infine vengono utilizzati in schemi di profilassi per evitare le infezioni più gravi e sono estremamente efficaci, basti pensare agli schemi con cotrimossazolo e itraconazolo che vengono impiegati nelle malattie granulomatose croniche e che hanno drasticamente ridotto fino quasi ad annullare le complicanze infettive batteriche e fungine che in passato mettevano a repentaglio la vita dei pazienti.
    Non ultima va ricordata la fisiokinesiterapia (FKT), così importante per il polmone, l’organo più colpito e anche più fragile: le bronchiettasie, una volta instauratesi, contribuiscono massicciamente allo continuo recidivare di infezioni fino allo sviluppo di una vera e propria pneumopatia cronica con insufficienza respiratoria progressiva e scompenso cardiaco.

    La FKT è di enorme utilità per il polmone in quanto rimuove meccanicamente il catarro e il muco con l’utilizzo di banali manovre ed evita così che i germi lo possano infettare e causare polmoniti.
    Infine, ogni immunodeficienza può, come si è visto, avere complicanze diverse, infiammatorie, autoimmuni o allergiche (come nel deficit selettivo di IgA): ogni circostanza andrà trattata separatamente e singolarmente con la terapia più adatta.

    Prospettive future
    Terapia sostitutiva, terapia cellulare e terapia molecolare: hanno tutte limiti ben precisi che si tenta di spostare sempre un po’ più in avanti ed abbiamo visto che la risoluzione dei problemi può venire solo dall’avanzamento delle conoscenze sulla precisa natura del disordine genetico sotteso. La possibilità di saper esattamente quale gene è alterato e quale è la natura del difetto sono i punti cardine della diagnosi prenatale e della possibilità quindi di pianificare le gravidanze successive o di intervenire con la terapia molto precocemente, addirittura in utero. E’ quanto è stato fatto con il trapianto in utero: nel bambino ancora in utero (feto), sono state infuse cellule sane di un donatore – il padre -: queste cellule sono andate a popolare il midollo del bambino che è nato così già guarito da una immunodeficienza che ha avuto solo per poche settimane, nella pancia della mamma, e che non ha lasciato alcuna conseguenza.
    Anche questa terapia ha dei limiti: la famiglia deve avere un precedente familiare di immunodeficienza per poter procedere alla diagnosi prenatale; questa deve essere fatta precocemente nella gravidanza (possibilmente nelle prime settimane di gestazione), in modo da “innestare” le cellule trapiantate senza o con il minor numero di effetti collaterali legati al rigetto. Tuttavia rappresenta una grande risorsa e rappresenta al momento la tecnica forse più promettente di questi ultimi anni che pure hanno visto un radicale miglioramento della prognosi di molte immunodeficienze, in passato invariabilmente infauste.

    Aspetti socio-familiari
    L’immunodeficienza, quando è grave e pericolosa per la vita, compete in genere il lattante o il piccolo bambino: i problemi sono quindi della famiglia. La comunicazione della diagnosi, l’attesa del verdetto sul donatore, l’iter diagnostico-terapeutico spesso travagliato e doloroso: tutto questo può venire rapidamente dimenticato quando si reperisce il donatore, quando si prospetta di guarire e quando infine l’obiettivo viene raggiunto.

    Quando invece la prognosi è migliore e si prospettano le terapie sostitutive, al primo momento di sollievo, subentra lo sconforto legato alla cronicità della malattia, carica di potenziali complicanze e alla prosecuzione indefinita della terapia di cui emergono gli aspetti limitanti. Il dover ricorrere a infusioni mensili di immunoglobuline, l’essere in qualche modo “dipendente” dal centro di riferimento, il dover assentarsi da scuola o dal lavoro viene o può venire vissuto come invalidante, limitante, in qualche modo umiliante. Il concetto stesso di immunodeficienza può essere fonte di ansie e di paure: il timore di trasmettere la malattia a figli, la suscettibilità a infezioni quindi l’adesione a regole di vita in qualche misura restrittiva o vissute come tali, il sentirsi diversi in una società che tende a non considerare la malattia: tutto questo può creare fantasmi, paure, angosce, silenzio e quindi solitudine.

    In realtà la crescita della cultura medica e della società ha reso la terapia “accettabile”: si stanno studiando modalità di infusione della terapia non pericolose per i pazienti, ma che consentono loro di autogestirsi a casa propria. Ne è un esempio il tentativo di somministrare le immunoglobuline per via sottocutanea, a casa durante le ore notturne. Il metodo è valido anche se ha un buon livello di accettazione soprattutto nell’adulto: nei bambini non è molto gradito e vengono preferite le somministrazioni di immunoglobuline per via endovenosa. Ma la vera forza psicologica e sociale dei bambini e delle famiglie con immunodeficienza deriva dall’associazionismo: è un momento fondamentale in cui ci si riconosce non soli, capaci di organizzarsi e di identificare le proprie ed altrui necessità. Consente a ciascuno di presentarsi alla società portando un proprio contributo di esperienze e di vissuti ed è quindi uno strumento di crescita e di consapevolezza che potrà solamente maturare al seguito dell’approfondimento della cultura medica e dell’avanzamento tecnico.
    Avere un punto di riferimento cui far convergere i pazienti soli, che hanno difficoltà nella vita sociale o nel lavoro, aiuta, da sicurezza e rinforza lo spirito di solidarietà sociale.

    Immunodeficienze umorali

    Immunodeficienza Frequenza Ereditarietà
    Agammaglobulinemia XR (Bruton) 1:100.000 XR
    Immunodeficienza Comune Variabile( CVID) Frequente
    Ipogammaglobulinemia XR con deficit di GH Rara XR
    Deficit selettivo di IGA 1:500 AR/?
    Deficit di sottoclassi IgG Frequente
    Deficit anticorpale in normogammaglobulinemia Rara
    Delezione dei geni per le catene pesanti Molto rara
    Ipogammaglobulinemia transitoria del lattante Frequente
    Deficit di catene leggere k Rara


    Tabella 1: classificazione dei difetti dei T e dei B linfociti (WHO,1997, modificata), frequenza relativa ed ereditarietà
    Immunodeficienze combinate

    Immunodeficienza Frequenza Ereditariertà
    Immunodeficienza con Iper IgM (HIGM) Rara XR/AR
    Deficit di ADA Frequente AR
    Deficit di NP Rara AR
    Digenesia reticolare Rara AR
    SCID con assenza di T e B linfociti Frequente AR
    SCID con B linfociti Molto frequente AR (25%) XR (75%)
    Sindrome di Omen Rara AR
    Deficit di CD7 Rara AR
    Deficit di transduzione del segnale Rara AR
    Deficit di molecole HLA classe II Rara AR
    Deficit di espressione del CD3 Rara AR

    Legenda: AR: autosomico-recessiva, XR: X-recessiva
    Tabella 2: classificazione delle immunodeficienze caratterizzate da difetti dei fagociti (WHO, 1997, integrata)
    Difetti dei fagociti

    Immunodeficienza Frequenza Ereditarietà
    Sindrome di Shawachman Rara AR
    Sindrome di Kostman Rara AR
    Neutropenia ciclica Rara
    Mielocatessi Rara
    Neutropenia benigna Frequente
    LAD tipo 1,2 Rara AR
    Chediak Higashi Rara AR
    Deficit granuli specifici Molto rara AR
    Malattia granulomatosa cronica 1:100.000
    1:250000 AR
    XR
    Deficit di mieloperossidasi 1:2.000-4.000 AR
    Deficit di G6PD Molto rara AR
    Deficit di recettore per l'IFN-g Rara

    Legenda: AR: autosomico-recessiva, XR: X-recessiva
    Tabella 3: classificazione delle immunodeficienze associate a sindromi (WHO, integrata)

    Immunodeficienze associate a sindromi

    Immunodeficienza Frequenza Ereditarietà
    Atassia-Telangiectasia 1:100.000 AR
    Sindrome di George 1:20.000
    1:70.000
    Sindrome di Wiskott Aldrich 4:1.000.000 XR
    Sindrome con Iper IgE Rara
    Candidiasi mucocutanea cronica Rara
    Legenda: AR: autosomico-recessiva, XR: X-recessiva




    immunodeficienza


    linK al sito di origine






    Edited by patroclotest - 11/9/2010, 17:08
     
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